venerdì 6 aprile 2007

CULTURA OSPITANTE E CULTURA D’APPARTENENZA TRA CONFRONTO E CONFLITTO - I FIGLI E LE DONNE NELLE FAMIGLIE SENEGALESI IMMIGRATE

Debora Niccolini

Socia in formazione Settore Intercultura Istituto di Terapia Familiare di Firenze


Tre anni fa ho fatto una ricerca sui senegalesi, in particolare sulle famiglie wolof (una delle sei etnie del Senegal) emigrate in Italia. In realtà, questa ricerca, la definirei una micro-analisi su alcune famiglie wolof scelte per le caratteristiche di provenienza e di medesimo insediamento emigrate in Toscana. Lo scopo della ricerca era quello di vedere in che modo l’evento migratorio rimetteva in gioco le identità e le relazioni familiari del migrante senegalese. Il mio obiettivo, però, non era solo conoscitivo, l’incontro con il diverso ha rappresentato per me un’opportunità di crescita e una sfida culturale, per riscoprire quei valori umani presenti nell’incontro tra ciò che è familiare e ciò che è estraneo.
Ho diviso il lavoro in due parti:

  1. Il lavoro sul campo, che si è caratterizzato per la mia permanenza di 1 mese presso una famiglia wolof, residente a Mbacke (situata nella regione di Diourbel, posta nella parte interna del Senegal occidentale);
  2. Interviste a famiglie senegalesi immigrate in Toscana in cui ho rintracciato le famiglie wolof provenienti da Mbacke che si sono insediate in Toscana negli anni ’90.

Gli strumenti di rilevazione delle informazioni, da me utilizzati, sono stati l’intervista in profondità e l’osservazione partecipante nella famiglia senegalese che mi ha ospitato in Senegal(dove ho scritto un diario, ho fatto filmati e foto). Dopo la seconda parte della ricerca ho trascritto tutte le interviste e sulla base di queste ho fatto l’analisi del testo individuando successivamente alcune aree tematiche utili per fare un confronto con la famiglia senegalese in Senegal (considerata come rappresentativa di una tipica famiglia rurale senegalese).
Le aree tematiche da me individuate sono quattro: la lingua, il tempo, lo spazio, i valori. L’obiettivo che mi ero posta consisteva nell’osservare sia gli effetti che l’evento migratorio aveva avuto all’interno della struttura familiare, sia l’adattamento e l’integrazione di queste due famiglie nel paese d’accoglienza, tenendo conto delle differenze generazionali e di genere.
La domanda che mi ero posta è: in che modo queste due famiglie stanno tra la cultura d’appartenenza (il Senegal) e la cultura d’accoglienza (l’Italia)?
Devo dire che non c’è una risposta sicura, certo è che queste famiglie sono in continua trasformazione, dovuta anche al fatto che l’arrivo di bambini e donne che raggiungono i propri mariti porta altri bisogni sia per la società d’accoglienza che per le famiglie stesse. Faccio alcuni esempi riportando alcune parti dell’intervista:

Marito: “io alzare la mattina presto per andare a lavoro, poi quando tornare cucinare, lavare, stirare, troppo dura la vita…allora ci voleva una donna in casa…adesso io non faccio niente tutto mia moglie a tutti”

Moglie“io vorrei lavorare per non pensare alla mia famiglia in Senegal, alle altre donne….mio marito non vuole devo fare pulizie in casa”

L’arrivo della moglie ha permesso ai membri di questa famiglia di riproporre la stessa struttura gerarchica della famiglia d’origine (al suo interno si può osservare la netta distinzione dei ruoli fra i più anziani e i più giovani, tra uomini e donne), ma mentre il marito continua a riconoscersi nel sottosistema degli uomini adulti che lavorano, per la moglie è un po’ diverso in quanto sente l’esigenza di trovare un suo spazio in un sottosistema, che non può essere quello delle donne adulte che le viene a mancare, quindi nascono in lei dei bisogni nuovi che vorrebbe esprimere con il proprio marito.
Anche l’arrivo del bambino ha portato delle novità, in particolare il padre e la madre si sono trovati a rivestire la funzione genitoriale da soli, in quanto in Senegal questa funzione viene svolta da uomini e donne adulte appartenenti alla famiglia estesa, ma si trovano anche a fare gli amici del loro figlio (in Senegal i bambini giocano insieme e dormono nella stessa camera anche in dieci).

Bambino: “mio babbo mio amico, a casa giochiamo insieme”

Padre: “Khadime dorme con noi perché la sua camera è troppo grande per lui, noi siamo abituati a dormire in tanti nelle camere, ho paura che prenda delle abitudini sbagliate, non voglio che stia da solo”

Anche per il figlio ci saranno elementi di diversità sia rispetto ai suoi fratelli che vivono in Senegal sia nei confronti dei coetanei italiani che crescono in una sola casa.

"Disegno della sua famiglia", fatto da un bambino senegalese di sette anni che vive in Senegal

"Disegno della sua famiglia", fatto da un bambino senegalese di sei anni che vive in Italia da quattordici

Il bambino

non disegna nulla

Intervistatrice: “Khadime, mi disegneresti la tua famiglia?”
Khadime: “babbo, qual è la mia famiglia?”
Padre: “è tutta, siamo noi….i tuoi nonni, i tuoi fratelli, gli zii….”
Khadime: “hahaha!!! ho capito…allora faccio la mamma e te, come mi hanno fatto fare all’asilo….”


Bambino “per me stare qui o in Senegal è uguale, questa casa o quella giù in Senegal è uguale, non cambia niente”. Chiedo al bambino di disegnarmi la casa reale e ideale, mi fa due case identiche e dopo mi dice che la sua casa ideale è quella in Senegal (io mi sento confusa, lui no).
Khadime: “questa è la mia casa ideale, quella in Senegal!”

Bambino: “io non dormo in camera mia, dormo con i miei genitori, sono contento, quando vado nella casa in Senegal ora sono grande e dormirei con gli altri bambini”
Padre: “io e mia moglie siamo qui per mandare i soldi alla famiglia in Senegal, ai miei genitori, ai nostri figli, non so quando torneremo, ma il nostro futuro è in Senegal” io gli domando: “Khadime verrà con voi?” lui risponde: “lui sa che la sua famiglia, i suoi fratelli sono in Senegal”

Khadime: “questa è la mia casa a Bientina”
Khadime: “questa è la mia casa ideale, quella in Senegal!”

L’obbiettivo delle due famiglie emigrate, ma anche della famiglia residente in Senegal che mi ha ospitato, è quello di mantenere la coesione interna della famiglia. Dall’analisi di quest’ultima ho potuto concludere che essa rappresenta un alto grado di stabilità e coesione interna nonostante la coresidenza di più nuclei. Si può osservare come al suo interno c’è un alto livello organizzativo attraverso la divisione di ruoli lavorativi e sociali tra vecchi e giovani, tra maschi e femmine. Il livello di coinvolgimento tra i membri è molto alto, le decisioni vengono assoggettate ai bisogni-desideri di tutto il gruppo. Per questo motivo le operazioni di un individuo sono difficilmente pensabili fuori dalla logica che presiede l’organizzazione del gruppo, in questo senso le sue scelte, quando si differenziano da quelle della famiglia, sono vissute come minacciose.
Di fronte a queste minacce la famiglia mantiene la sua coesione in due modi:

  1. Tramite l’evitamento del conflitto (il capofamiglia come figura carismatica) ottenuto attraverso il rispetto dell’organizzazione interna e dei ruoli (gerarchici);
  2. Tramite la sottomissione dei bisogni-desideri individuali ai bisogni della famiglia, assoggettandosi, da parte di ciascun individuo, a questa “quasi legge naturale”.

Quindi i due nuclei familiari emigrati, si sono messi in movimento per mantenere la coesione interna della famiglia estesa, o meglio, rappresentano la cellula produttiva della famiglia estesa, quindi rispondono alla necessità di soddisfare i bisogni del gruppo.
Abbiamo visto come l’evento migratorio di queste due famiglie, abbia modificato il modo di gestire lo spazio e il tempo: il loro inserimento nella cultura d’accoglienza, con i ritmi di vita più veloci dove anche la gestione dello spazio tende a privilegiare “l’intimità individuale”, ha portato alla diminuzione della coresidenza allargata, ma non alla scomparsa della sua complessità, che si presenta ancora come una rete relazionale gerarchica, in cui ogni membro è legato a più generazioni o a più membri della stessa generazione. In questo senso se la complessità si è accentuata, forse, poiché prima l’intreccio era sotto gli occhi di tutti, quotidianamente, ora è più interno, più celato, e, potremmo dire mentalizzato.
Nello stesso tempo, però, emergono nel nuovo contesto i bisogni individuali, soprattutto da parte della donna e nello stesso tempo i sottosistemi coniugale e genitoriale assumono un altro significato.
Ci possiamo chiedere come riusciranno i bambini senegalesi emigrati in Italia ad integrare, da grandi, i bisogni del gruppo-famiglia con quelli individuali?
Vi sono, infatti, già alcuni elementi di modificazione:
Da una parte le donne sono quelle che vivono in maniera più forte la perdita della dimensione tradizionale e non hanno ancora accesso ad una dimensione nuova, trovandosi così ad essere destinate il corpo vivo della trasformazione impossibile o della ipotetica “rivolta”. A livello soggettivo la donna emigrata si trova implicata nella difficile ricerca della propria identità, che mantenga i portati tipici dei modelli familiari imperniati su una divisione tradizionale dei ruoli accanto a stili di vita improntati all’individualismo. Nello stesso tempo, a livello intersoggettivo, il ruolo della donna risulta strategico nel determinare l’esito familiare della scelta migratoria, sia nella direzione di un modello familiare “conchiuso in sé” sia in quella di una sua interazione con l’ambiente esterno. La figura femminile può, quindi, rappresentare nella scelta migratoria il punto di non ritorno di una solitudine familiare, oppure il possibile “ponte” verso la cultura del paese ospitante.
Dall’altra, i bambini che crescono, si troveranno irrimediabilmente distanti da ciò che è loro stato raccontato come naturale e quindi spinti dal bisogno di inserimento e di relazionalità. Tra coetanei si troveranno a contestare il vecchio assumendo il nuovo come conquista. Sarà forse compito e opportunità delle generazioni a seguire poter connettere passato e futuro e che quindi la catena migratoria si sia compiutamente sviluppata per comprendere ritmi di adattamento e di conflitto. Sembra che la dimensione dello “star seduto fra due sedie” (come dice Amilcar Ciola), non sia solo un fenomeno contingente e transitorio per i senegalesi toscani, ma sia destinato ad assumere dimensioni più ampie.
Mi sembra che l’evento migratorio di questi nuclei familiari “agita il tema relazionale per eccellenza vale a dire separare-connettere, distanziare-unificare” e mi domando: “può avere un senso all’interno delle due famiglie senegalesi immigrate, parlare del processo di appartenenza-separazione come ricerca della propria identità, come ricerca della propria autonomia, individualità?”
Nel caso delle famiglie immigrate in Toscana definirei il processo appartenenza-separazione e concludo “tra la ricerca di un ruolo nel mondo e la ricerca di un ruolo nella propria famiglia”.

D.S.S.V.F. fatto da una famiglia senegalese
che vive a Bientina da sei anni

Bibliografia

  • A.Bara Diop: “La société wolof”, Karthala,1981.
  • F.Walsh (a cura di): “Ciclo vitale e dinamiche familiari”, Franco Angeli, Milano, 1995.
  • R.Fox: “Le parentele e il matrimonio”, Officina edizioni, Roma, 1973.
  • S.Minuchin: “Famiglie e terapia della famiglia”, Astrolabio, Roma, 1976.
  • Rivista “Terapia della famiglia”, n°6, 1979.
  • Rivista “Terapia della famiglia” n°19, 1985.
  • G.Arrighi,L.Passerini: “La politica della parentela: analisi situazionali di società africane in transizione”, Feltrinelli, Milano 1991.
  • C.Celati: “Avventure in Africa”, Feltrinelli, Milano 1998.