venerdì 6 aprile 2007

LA MEDIAZIONE SCOLASTICA TRA INFORMAZIONE E RETROAZIONE

Imma Sarnacchiaro

Socia in formazione in Terapia Familiare ITF Napoli e per la mediazione sistemica presso Ecopsys

Emanuelle Scarpa

Psicologa Specializzanda in Terapia Familiare e Relazionale presso Ecopsys


La scuola è il luogo in cui i conflitti possono assumere forme diversificate; la loro gestione quindi, riveste importanza particolare rispetto a molti livelli tra i quali quello che interessa il rapporto tra pari e quello che interessa il rapporto tra studenti ed insegnanti. Per tali motivi il nostro progetto si è prefisso lo scopo di restituire responsabilità ai giovani affinchè essi possano assumere maggiore consapevolezza rispetto alle dinamiche e alle emozioni che accompagnano le relazioni vissute quotidianamente nel sistema scuola.
Nella nostra lettura il macrosistema di cui ci occupiamo va inteso quale luogo relazionale fertile di incontri, scontri, confronti, che possono assumere grosso rilievo se connessi al particolare momento evolutivo dei soggetti coinvolti.
Il nostro intervento è stato articolato in diversi momenti: un primo momento di informazione e sensibilizzazione del corpo docente allo scopo di diffondere la permeabilità ad una cultura della gestione del conflitto che favorisca la partecipazione e la collaborazione dei componenti il sistema stesso; un secondo momento, sviluppatosi durante l’orario scolastico, ha compreso l’osservazione critica di differenti modalità di gestione dei conflitti – la rilettura dei conflitti stessi vissuti all’interno della quotidianità della vita scolastica, come potenziale risorsa per un’esplorazione di tipici patterns di comportamento anche estranei al sistema scuola dei giovani osservati –.
In tale contesto, il conflitto è stato inteso, quindi, come una dimensione condivisa e comune intrinseca alla vita di relazione di ognuno, come feedback trasformativo delle capacità elaborative che esso stesso può sollecitare in area di risorsa interna.
Nelle nostre riflessioni ci si è particolarmente soffermati sull’osservazione critica del comportamento analogico quale segnale elettivo di particolari tipi di comunicazione intese come “invocatori di relazione”.

BIBLIOGRAFIA

  • S. Castelli, “La mediazione”, Raffaello Cortina Editore, 1996.
  • F. Schrumpf, 1994 “The role of students in resolving conflicts in schools”. In: J.S. Thousand, R.A. Villa, A.I. Nevin (Eds), “Creativity and collaborative learning: a pratical guide to empowering students and teachers”, Paul H. BrookesPublishing co., Baltimore, pp. 275-291, 1994.
  • P. Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, “Pragmatica della comunicazione umana”, Casa Editrice Astrolabio, 1971.
  • A cura di M. Malagoli Togliatti e U. Telfener, “Dall’individuo al sistema”, Bollati Boringhieri, 1998.

Il nostro progetto inserito nell’azione preventiva del Servizio di Terapia Familiare della U.O.S.M. distr. 44 – ASL NA 1-, di cui descrizione più estesa vien fatta nella relazione della d.ssa D. Bottiglieri, si è andato articolando al fine di diffondere la permeabilità ad una cultura della gestione del conflitto che favorisca la partecipazione e la collaborazione dei componenti il sistema scuola preso in esame. Specificamente, il nostro compito è consistito nell’osservazione delle differenti modalità di gestione dei conflitti stessi e della comunicazione analogica in essi espressa; tali conflitti, vissuti all’interno della quotidiana vita scolastica, attraverso il lavoro gruppale, in potenziale di accrescimento dell’area della consapevolezza dei propri stati emotivi e in bagaglio esperenziale più consapevole per entrare in relazione con l’alterità.
La parola “conflitto” evoca inevitabilmente delle situazioni di profondo dolore e dispiacere. Su questa scia, le correnti storiche di pensiero hanno tendenzialmente definito il conflitto come un’espressione di “disfunzione all’interno di una struttura”, come una situazione da reprimere o curare.
Ciò che è realmente impossibile negare è rappresentato dalla evidenza dell’esistenza del conflitto come dimensione emotiva intrinseca alla natura di ogni essere vivente e di ogni relazione.
Conflitto deriva dal latino “confligere” cioè urtare, battere insieme ed è per questo che quando si parla di conflitto si sottintende il riconoscimento di almeno due entità di qualsiasi tipo esse siano e che tale costrutto rimandi alla presenza di emozioni connesse all’aggressività.
Il conflitto è naturale in ogni sistema vivente e non dovrebbe assumere né caratteristiche positive né negative: in tal senso, esso può favorire una evoluzione all’interno di un sistema vivente, o al contrario essere deleterio ogni qualvolta situazioni incontrollabili creino risultati distruttivi per l’organizzazione e l’equilibrio del sistema stesso.
Data la caratteristica dinamica dei sistemi viventi è naturale quindi che a processi evolutivi corrispondano conflitti.
È in particolare nelle fasi evolutive espresse nella dimensione conflittuale che si colloca l’intervento di mediazione operato da un soggetto super partes, un terzo imparziale, denominato “mediatore” che attraverso il processo di mediazione proverà ad arginare gli effetti indesiderati del conflitto stesso e a ristabilire un dialogo tra le parti per poter raggiungere un obiettivo comune: la concretizzazione di un processo di riorganizzazione delle relazioni che si dimostri il più possibile soddisfacente per tutti.
Il mediatore considera il conflitto come qualcosa di utile che deve essere gestito in modo appropriato affinchè possa offrire l’opportunità per ristabilire determinate condizioni di rapporto ed esplorare gli stimoli di crescita presenti in differenti direzioni.
Le comunicazioni conflittuali richiedono un’attenzione vigile ed articolata poiché ogni sistema racchiude una globalità di rapporti sia interni che esterni; di fatto, data la complessità dei sistemi non si produrrà una sola causa, quindi un solo effetto, ma ogni causa produrrà una molteplicità di effetti che a sua volta si ripercuoterà sulla causa.
La mediazione ha un’ampia gamma di campi di utilizzo che spazia dalla gestione dei conflitti tra i singoli individui fino ai dissidi tra stati.
Il nostro focus è centrato nell’ambito scolastico, in quanto la scuola è il luogo in cui i conflitti possono assumere forme diversificate e impegnare tutti gli attori presenti nel sistema; la loro gestione, quindi, riveste importanza particolare rispetto a molti livelli tra i quali quello che interessa il rapporto tra pari e quello che interessa il rapporto tra studenti ed insegnanti.
Per tali motivi il nostro progetto si è prefisso lo scopo di restituire responsabilità e attitudini cooperative ai giovani affinchè essi possano assumere maggiore consapevolezza rispetto alle dinamiche e alle emozioni connesse al conflitto che accompagnano le relazioni vissute quotidianamente nel sistema scuola e la loro crescita come individui adulti.
Le tecniche che vengono utilizzate durante gli incontri con gli studenti hanno lo scopo di stimolare gli alunni ad una partecipazione attiva al progetto: discussioni in piccoli gruppi, proiezioni di video, giochi di role-playing, simulate e sculture.
Le relazioni conflittuali riguardano tutti gli studenti in quanto la dimensione condivisa e comune cui i soggetti sono strettamente legati appartiene alla vita di relazione di ciascuno.
L’obiettivo che ci prefiggiamo è quello di sensibilizzare il sistema classe rispetto alla possibilità di sviluppare una cultura di condivisione e di convivenza, in modo tale che il sistema possa acquisire nel contempo una padronanza utile a gestire i conflitti in modo alternativo.
In questo modo il sistema scolastico in oggetto ha cercato di dimostrare di farsi carico della propria dimensione conflittuale manifestando un dovere di responsabilità di tipo sociale.
Nelle nostre riflessioni ci si è particolarmente soffermati sull’osservazione del comportamento analogico quale segnale elettivo di particolari tipi di comunicazione intese come invocatori di relazione.
Partendo dal presupposto che “la differenza è informazione”, un modo per conoscere i sistemi è individuare le differenze. L’osservazione delle differenze va di pari passo con quella delle somiglianze. In tal senso, differenze e somiglianze emergenti nel sistema classe, per la proprietà della retroazione rientrano nel sistema sotto forma di informazione.
Abbiamo potuto infatti osservare nel procedere del protocollo e particolarmente nel lavoro tra sottogruppi, come i piccoli sistemi evidenzino spontaneamente delle figure “leader” con predisposizione ad interazioni “one-up”, confermate sia da comunicazioni verbali che da comunicazioni analogiche sul fronte spazio-corpo: alzarsi in piedi mentre i componenti del gruppo sono seduti (posizione one-down), aumentare il tono di voce, limitare la possibilità interattiva altrui con il contatto corporeo, prediligere interazioni di tipo simmetrico. In tal senso è stato utile dirigere tutti i ragazzi verso lavori che abbiano finalità comuni e condivisibili.
Per questo scopo, l’inserimento dell’uso della scultura funge da trait d’union tra l’insorgere del conflitto attivato nel confronto avviato dal lavoro di gruppo e la dimensione cooperativa di tutti i componenti che insieme devono conseguire un obiettivo.
La scultura produrrà un finale “effetto coesivo” che porterà i membri del sistema a pensare in termini di unità sistemica della quale ognuno è parte integrante e influenzante.
L’uso della scultura nel nostro processo non è ortodosso ed è stato mutuato dalle tecniche non verbali di terapia familiare e sostenuto come incisiva modalità d’intervento relazionale. La scultura può essere definita come la rappresentazione simbolica di un sistema, in quanto in essa vengono messi a fuoco gli aspetti comuni di ogni sistema (spazio, tempo, energia); in questo modo relazioni, sentimenti, cambiamenti possono essere rappresentati e sperimentati simultaneamente.
I veri pionieri di questa nuova modalità d’intervento relazionale possono essere considerati Papp al N.W. Ackerman Family Institute di New York e Duhl e Kantor al Boston Family Institute.
Spiegare in che consiste di fatto una scultura presenta tuttavia gli stessi limiti del descrivere un’opera scultorea senza poterla osservare direttamente. “Scolpire” è una modalità creativa, dinamica e non verbale attraverso cui lo scultore può rappresentare le relazioni più significative che lo legano agli altri, che legano questi ultimi tra loro, in un contesto e in un momento storico determinati. Egli finisce così per dar vita ad una composizione spaziale che esprime vivamente le sue emozioni e quelle dei familiari, in appropriata interazione con un finale effetto coesivo.
Nel nostro uso della scultura, questa si colloca, in termini di tempo, dopo il lavoro di assegnazione e definizione comune dell’emozione cui tutti i sottogruppi pervengono: i membri dovranno impegnarsi in una scultura che rappresenti l’emozione assunta come nome distintivo del sottogruppo (assegnazione per sorteggio-casuale), facendosi scolpire da uno “scultore” scelto dai compagni che comporrà tale scultura seguendo le indicazioni di tutti e avrà il compito di mediare tra le varie proposte.
Tale esercizio mira ad ingenerare conflitto e a sviluppare e sostenere una forte tensione cooperativa verso una equifinalità che viene costantemente punteggiata da commenti che fungeranno da rinforzi positivi del lavoro e dei risultati prodotti con una modalità collaborativa. Contemporaneamente tutte le intuizioni e le proposte di soluzione che produrranno i singoli membri verranno convertite in informazioni di cui tutto il gruppo potrà beneficiare.
Alcuni passaggi del lavoro dei vari sottogruppi evidenziano come il momento della scultura sia stato foriero talvolta di escalation simmetriche e di interazioni conflittuali tra i componenti dei sottogruppi stessi: si gesticola animatamente, si alza il tono di voce, ci si spinge per essere ascoltati e chi viene spinto aumenta ancor più il suo tono di voce per farsi ascoltare ed imporre le sue idee. Alcuni membri non sono concordi per la posizione che devono assumere: il leader/mediatore del sottogruppo cerca di ordinare gli attori, sottolineando le sue indicazioni anche con ampi gesti delle mani…. Gli operatori osservando ciò che sta accadendo cercano di orientare tutte le proposte verso il compito e, come per riflesso, anche i singoli leader mediano tra le proposte producendo la scultura dell’emozione assegnata e mantenendo costante la tensione per riprodurre alla meglio, anche con l’analogico, la loro emozione.
La produzione delle sculture avviene nella parte conclusiva della fase di sensibilizzazione; in tal senso, è sembrato utile concludere tale fase con una restituzione sulla comunicazione analogico che suggella la dimensione gruppale condivisa e condivisibile nel linguaggio del corpo, nell’analogico, appunto, come linguaggio universalmente condiviso.

Bibliografia

  • Andolfi M. (1977) – “Terapia con le famiglie” – Casa Editrice Astrolabio.
  • AA.VV. (2001) – “Il coraggio di mediare” – Scaparro F., ed. Guerini e Associati, Milano.
  • Bateson G. (1973) – “Verso un’ecologia della mente” - tr. It. Adelphi, Milano, 1976.
  • Bolton R. (1979) – “People skills” – Simon e Shuster.
  • Bonafé-Schmitt J.P. (1992) – “La médiation: une justice douce-syros-alternatives”.
  • Carli R. (1999) – “Culture giovanili” - Franco Angeli Editore, Milano.
  • Folgheraiter F. (1999) – “Problemi di comportamento e relazione di aiuto nella scuola” - Erickson.