venerdì 6 aprile 2007

L’UTILIZZAZIONE DEL’LAUSANNE TRIADIC PLAY CON I BAMBINI IN MEDIAZIONE FAMILIARE

Elena Gargano

Socio in formazione A.I.M.S. Istituto di Terapia Familiare
di Firenze


Figli e Separazione
L’evento della separazione coniugale determina una disgregazione della famiglia che priva i figli di quell’unione familiare che rappresenta per loro, fin dai primi anni, il punto di riferimento per un corretto sviluppo psico-fisico (Dell’Antonio, Vincenzi Amato 1992). La separazione può rappresentare, pertanto, un evento doloroso per i figli ed un rischio per la loro salute psichica (Candelori, Tambelli, Zampino De Vincenti 1987).
Per tale motivo, l’aumento del numero delle separazioni e dei divorzi ha portato ad una sempre maggiore attenzione al fenomeno, con un aumento delle ricerche che si sono concentrate sugli effetti che tale evento può determinare sui figli di genitori separati e su quali siano le variabili che amplificano tali effetti. Tali studi si sono andati modificando nel corso del tempo ponendo al centro della loro attenzione variabili diverse (Cigoli 1998).
In un primo momento gli studi sui “figli del divorzio” vedevano nella separazione ed in particolare nella modificazione strutturale della famiglia, la causa diretta di disturbi psicopatologici e comportamentali sui figli. Le ricerche attribuivano soprattutto al passaggio dalla “bigenitorialità alla monogenitorialità”, per l’allontanamento o l’assenza di una figura genitoriale, generalmente il padre, la causa del disadattamento sociale, psicosessuale, scolastico e dei problemi comportamentali dei figli (McDermott 1970).
Dopo gli anni ‘70 i ricercatori cominciarono a mettere in discussione la concezione del divorzio come evento unitario e con effetti uniformi sui figli e constatarono l’influenza di molteplici fattori. Si cominciò così a riconoscere la complessità della separazione fino a parlare di divorzio come “processo psicosociale multidimensionale” (Cigoli 1998), in cui i fattori determinanti sono costituiti da un insieme di elementi di diversa origine:
- strutturali (età, sesso, aspetti socioeconomici);
- relazionali (interazioni, schemi di comportamento e di funzionamento familiare, intra e intergenerazionale);
- contestuali (extrafamiliari).
Effetti sui figli pertanto non come conseguenza diretta dell’evento separazione ma come prodotto di un insieme di eventi, sociali, economici, legali, psicologici e di relazione che si protraggono nel tempo e che possono andare ad amplificare lo stress legato alla separazione.
In particolare, le recenti ricerche (Emery 1994) evidenziano tra i maggiori rischi per i minori l’esser coinvolti nelle battaglie dei loro genitori, con “triangolazioni” in cui i bambini sono oggetto di contesa e spesso si trovano costretti a “coalizzarsi” con un genitore nella lotta contro l’altro, con sensi di colpa e conflitti di lealtà che possono minacciare il sano sviluppo del bambino.
La percezione da parte del figlio di “essere in mezzo” nella conflittualità dei suoi genitori (Buchanan, Maccoby, Dorbusch 1991), va ad incidere sui suoi comportamenti ed emozioni e determina in lui delle rappresentazioni cognitive e affettive che si riflettono sul suo sviluppo, con ripercussioni anche a lungo termine.
Risulta pertanto necessario, per ridurre gli effetti della separazione sui figli, rendere consapevoli i genitori della necessità di evitare che il conflitto coniugale invada l’area genitoriale (Emery 1994), così da evitare che i figli diventino l’arma utilizzata nelle battaglie contro l’ex partner, nella consapevolezza che se il ruolo di marito o di moglie cessa con il divorzio, quello di genitore non avrà mai fine. Quindi sarebbe necessario che gli ex coniugi si impegnassero insieme, cooperando, nella gestione di questo eterno bene comune rappresentato dai figli, passando da una posizione di conflitto sul figlio ad una di collaborazione (Gulotta, Santi 1988).


Figli e Mediazione Familiare
Un procedimento in grado di aiutare la coppia ad affrontare la separazione, promuovendo la cooperazione e non la competizione, nell’interesse dei figli, è rappresentato dalla Mediazione Familiare (Ardone, Mazzoni 1994; 1998; Ardone 1999; Babu 1998; 1999).
Questo procedimento si propone, tramite la guida del mediatore, la riorganizzazione, resa necessaria dalla separazione, del sistema familiare (APMF 1990).
A tal fine il mediatore aiuta la coppia a sviluppare una maggior capacità di ascolto (Cigoli 1998), ristabilendo tra i due partner la comunicazione, interrotta o disturbata dal loro conflitto, così da costruire un clima di fiducia e un contesto collaborativo in cui sia possibile il raggiungimento di un accordo comune nell’interesse di tutti i membri della famiglia e dei figli in particolare.
Essendo questi ultimi oggetti privilegiati dell’azione dei mediatori e delle decisioni che i genitori assumono in mediazione, alcuni modelli di mediazione prevedono una loro partecipazione diretta nel procedimento.
Tale opportunità ha dato però origine ad un dibattito tra coloro che evidenziano i rischi e le difficoltà di questa inclusione (Bernardini 1994; Bernardini, Scaparro 1994) e coloro che viceversa enfatizzano i vantaggi che la partecipazione dei figli può apportare (Saposnek 1983; Drapkin, Bienfeld 1985; Kaslow 1984).
Alcuni autori (Bernardini 1994; Bernardini, Scaparro 1994; Busellato 1999), escludono i bambini dal procedimento, convinti che la loro partecipazione rappresenti una delega ai figli della responsabilità delle decisioni.
I promotori (Malagoli Togliatti 1996; 1998; Ardone 1999) controbattono, affermando che includere il bambino nel processo non significa attribuirgli il potere decisionale, che permane nelle mani dei suoi genitori, ma rappresenta un metodo proprio per aiutare questi ultimi a ritrovare le loro capacità genitoriali, ridotte con la separazione. Infatti il mediatore utilizza ciò che ha osservato nell’incontro con il bambino da solo o con i suoi genitori per aiutare la coppia a capire i bisogni effettivi del loro figlio, così da portarli a cooperare per trovare un’intesa che tuteli l’interesse del minore, il quale, generalmente non partecipa nella fase del raggiungimento degli accordi e anche qualora fosse presente non è a lui che spettano le decisioni ma ai suoi genitori (Drapkin, Bienfeld 1985; Buzzi 1997).
Inoltre coloro che evidenziano le difficoltà ed i rischi dell’inclusione del minore, scelgono di escluderlo credendo così di proteggerlo dal conflitto coniugale (Bernardini 1994).
Ma escludere i bambini dalle sedute di mediazione, significa veramente non coinvolgerli nel conflitto dei genitori?
In realtà le triangolazioni e le strumentalizzazioni dei figli non avvengono durante le sedute ma nella vita familiare quotidiana, quindi escluderli non li protegge dalla conflittualità coniugale, anzi la loro partecipazione può essere proprio un modo per ridurre i contrasti (Malagoli Togliatti 1996; 1998a; 1998b; Ardone 1999).
Infatti, essendo i figli agenti attivi nella costruzione dei legami tra i vari membri della famiglia e “antenne” potentissime nel captare i segnali di cambiamento nella vita familiare, possono divenire, all’interno della mediazione, un utile “strumento” nelle mani dei mediatori per focalizzare meglio le alleanze e le manovre che legano reciprocamente i membri della famiglia separata nel conflitto distruttivo (Ardone, Mazzoni 1998), così da aiutare la coppia a, riorganizzare le loro relazioni, mantenere l’attenzione sul loro ruolo genitoriale e fargli vedere i bisogni effettivi di quel bambino e non limitarsi agli aspetti globali e generali dei bisogni di tutti i bambini in situazione di divorzio, così da raggiungere un accordo nell’interesse di tutti (Buzzi 1992).
La mediazione diventa, inoltre, per il bambino uno “spazio protetto” (Ardone 1993; Ardone 1999; Ardone, Mazzoni 1998; Malagoli Togliatti 1996; 1998a; 1998b) dove ha la possibilità di esprimere i suoi bisogni, le sue paure e sentirsi ascoltato e non escluso dal processo, confermando le sue convinzioni di non essere capito o di non essere importante o “esterno” alla storia della sua famiglia.
Infatti molto spesso i figli nella separazione dei genitori ricevono informazioni confuse o contraddittorie dai loro genitori o vengono lasciati nel silenzio, da soli ad affrontare questo evento, con adulti, genitori, avvocati, giudici, che parlano per loro, interpretando i loro bisogni (Vadilonga 1996).
La mediazione permette pertanto al bambino l’acquisizione più corretta delle informazioni su ciò che sta accadendo in famiglia e può rappresentare una possibilità per “dar voce” ai suoi bisogni, alle sue necessità ed ai suoi desideri, riconoscendogli il ruolo di soggetto attivo nelle dinamiche familiari, con la possibilità di esplicare quei diritti di ascolto e di partecipazione sanciti dalle Convenzioni Internazionali (art. 12 della Convenzione ONU del 1989).
Alcuni autori (Saposnek 1983; Malagoli Togliatti, Ardone 1993) evidenziano l’importanza di partecipare al procedimento soprattutto per i figli adolescenti, in quanto il mediatore rappresenta una figura con cui l’adolescente si può confrontare e la mediazione può diventare uno spazio per la sua individuazione, esprimendo i suoi bisogni di autodeterminazione, data l’importanza in questa fase di sviluppo di sentirsi persona autonoma e con un ruolo attivo nella propria vita.
La partecipazione dei figli alle sedute di mediazione familiare quindi, oltre a rappresentare uno spazio che protegge e “da voce” ad un fanciullo spesso lasciato solo e disinformato su ciò che sta accadendo nel suo ambiente familiare, rappresenta anche un’opportunità per il mediatore di comprendere come quella famiglia stia vivendo e reagendo all’evento della separazione, così da adoperarsi per aiutare la coppia a ristrutturare e riorganizzare la vita di tutto il sistema familiare, in base ai bisogni e alle necessità di ogni individuo e dei figli in particolare.


I bambini in mediazione con il “Lausanne Triadic Play”


Fig. 1 - Interazione Modello Fivaz
La maggior parte dei mediatori familiari facenti parte dell’AIMS (Associazione Internazionale Mediatori Sistemici) risulta a favore dell’inclusione dei figli nel procedimento di mediazione, ritenendo che la partecipazione dei bambini sia un modo, sia per dar voce ai figli, membri attivi e partecipi della vita familiare, sia per aiutare i genitori, coinvolti nelle loro problematiche coniugali, a “vedere” i bisogni effettivi dei loro figli, riuscendo a distinguerli dai propri, spesso difficile nel corso della separazione.

L’ascolto dei bambini in mediazione avviene privilegiando l’uso di tecniche simboliche con osservazione di comportamenti non verbali e delle interazioni familiari evidenziabili dalla videoregistrazione di situazioni di gioco o di disegno, in quanto la comunicazione verbale può essere più facilmente manipolabile ed utilizzabile nella conflittualità genitoriale.


Tra queste tecniche, oggetto di questo lavoro, è l’uso in mediazione, introdotto dai mediatori familiari dell’Istituto di Terapia Familiare di Siena, con i bambini sotto i sei anni, del “Lausanne Triadic Play” (LTP), che consiste in un “gioco familiare” che si sussegue con regole precise, utilizzato a Losanna negli anni ’80 (Fivaz-Depeursinge, Corboz-Warnery 2000) nello studio delle relazioni familiari nella prima infanzia. Con questa tecnica le autrici superano l’unità di osservazione diadica madre-figlio, fino ad allora presa in esame, verso quella triadica madre-padre-figlio, per osservare l’ambiente in cui il bambino cresce e valutare la famiglia come insieme e cercare l’esistenza di un legame tra lo sviluppo normale o psicopatologico del bambino ed i modelli relazionali familiari.




Il gioco si svolge secondo un preciso schema (fig. 1):
A un genitore gioca con il bambino e l’altro sta in disparte
(configurazione “2 + 1”);
B i genitori si scambiano i ruoli
(configurazione “2 + 1”);
C i genitori interagiscono insieme con il figlio
(configurazione “a 3”);
D i genitori parlano tra loro senza coinvolgere il figlio
(configurazione “2 + 1”).


Lo scopo dell’osservazione di questa situazione di gioco era quello di valutare come quella famiglia interagisce nello svolgimento di un compito, evidenziando “alleanze” funzionali o disfunzionali a seconda della possibilità o meno di cooperare tra i vari membri. La valutazione del processo familiare, funzionale o meno, definito dalla Fivaz il framework (o cornice di lavoro) e delle alleanze familiari avviene attraverso l’osservazione di alcune funzioni:
- partecipazione (partecipano tutti?);
- organizzazione (sono tutti nel loro ruolo?);
- attenzione focale (prestano tutti attenzione al gioco?);
- contatto affettivo (c’è empatia?).






Fig. 2a - Valutazione del framework nell’LTP (Basi strutturali) (da Fivaz Depeursinge, Corboz Warnery 2000)



Oltre a queste funzioni, che rappresentano le basi strutturali delle alleanze familiari (fig. 2a), è importante osservare i momenti di transizione da una fase all’altra e soprattutto il passaggio dalla configurazione “2+1”, in cui uno dei genitori gioca con il bambino e l’altro è solo presente, a quella “a 3”,in cui entrambi i genitori interagiscono con il minore.
Tale transizione, che rappresenta le basi dinamiche delle alleanze familiari (fig. 2b), è importante perché richiede una buona coordinazione tra i partner e avviene con un “preannuncio” e un “annuncio” di un partner, sia a gesti che a parole e la “ratifica” con l’altro, come fasi preparatorie della transizione, a cui segue la “decostruzione” della fase “2+1” e la “ricostruzione” della fase “a 3”.




Fig. 2b - Coordinazioni e riparazioni nelle transizioni fra le diverse configurazioni dell’LTP (Basi dinamiche)
(da Fivaz Depeursinge, Corboz Warnery 2000)



All’interno di questo passaggio però possono aversi delle coordinazioni errate, in quanto un movimento di un partner non è percepito dall’altro come segno di transizione e quindi non trova una risposta. In tal caso possono attivarsi delle “riparazioni” per raggiungere ugualmente lo scopo che è l’inizio della fase “a 3”. I vari tipi di riparazioni messe in atto, sono un ulteriore segno del tipo alleanze e quindi aiutano a fare una valutazione del funzionamento familiare (fig. 2c).


Tipologie di riparazione:
Riparazione sollecita Alleanze cooperative
Riparazione dispendiosa Alleanze in tensione
Riparazione peggiorativa/elusiva Alleanze collusive
Riparazione assurda Alleanze disturbate


Fig. 2c - Tipologie di riparazioni e relative alleanze familiari (da Fivaz Depeursinge, Corboz Warnery 2000)



A tal fine, riprendendo la Fivaz, la seguente griglia, mostra in sintesi, tutti gli elementi di cui le autrici tengono conto nell’osservazione del gioco per giungere ad una valutazione delle alleanze familiari (fig. 3).


Fig. 3 - Griglia per l’osservazione dell’interazione secondo LTP (Lausanne Triadic Play)
(da Fivaz Depeursinge, Corboz Warnery 2000)

Funzioni
Le alleanze familiari
La partecipazione: partecipano tutti?

chi esclude chi?

modalità di partecipazione Alleanze disturbata

eventuali invita all’altro a
partecipare




Organizzazione: ognuno ha un ruolo?

rispetto dei ruoli Alleanze collusive

la tenuta del ruolo genitoriale


ruolo dei figli




L’attenzione: livello di attenzione Alleanze in tensione

ascolto dell’altro



Contatto affettivo: empatia

condivisione
Alleanze cooperative

arousal empatico

intimità emotiva

Tipologie di riparazione:
Riparazione sollecita
Alleanze cooperative
Riparazione dispendiosa
Alleanze in tensione
Riparazione peggiorativa/elusiva
Alleanze collusive
Riparazione assurda
Alleanze disturbate



Questo gioco, nella sua semplicità, può essere utilizzato in mediazione in quanto può rappresentare una metafora della separazione, evidenziando nelle varie fasi come i membri familiari si separano e come vengono gestite queste separazioni. Durante la prima fase ad esempio, un genitore si trova a dover accettare di essere presente ma non coinvolto direttamente nell’interazione con il bambino e questo può far trasparire l’ansia e l’emotività legate allo “stare fuori dalla relazione e non intervenire”; nella seconda fase dove i genitori devono scambiarsi il ruolo possono subentrare dilemmi su entrare o non entrare nel gioco o se permettere all’altro di entrare o non entrare; nella terza fase, soprattutto nei casi di alta conflittualità, dove la sintonia a tre non è più parte della vita quotidiana si può evidenziare una grossa difficoltà a dare inizio a un’interazione dove tutti collaborano; infine nella quarta fase spesso imbarazzo dei due partner che non sono più abituati a comunicare e a coordinarsi tra loro, con i figli in disparte ma pronti ad intervenire con comportamenti o richieste di aiuto nel caso i toni di voce dei genitori si facessero minimamente più alti, evidenziando quindi il ruolo attivo e partecipe del bambino, non solo in questa fase ma lungo tutto il corso del gioco.
In particolare quindi LTP in mediazione può aiutare a evidenziare:
- come ogni membro permette l’accesso all’altro;
- come il bambino interagisce con entrambi i genitori;
- come i genitori si organizzano tra loro due nel passaggio da una fase all’altra e quindi come affrontano insieme il disequilibrio che si crea nel bambino in questi passaggi.
In mediazione questa tecnica però, a differenza di quanto avviene in ambito terapeutico o di consulenza, pur aiutando il mediatore a comprendere i modelli di relazione familiare non viene utilizzato dal mediatore per fare una valutazione del processo di funzionamento familiare da svelare alla coppia ma, essendo la mediazione un intervento che tende a restituire alla coppia il ruolo attivo e di responsabilizzazione nella ristrutturazione della loro vita, lascia alla coppia stessa l’analisi delle modalità di interazione familiare. Ciò avviene in una fase successiva a quella del gioco vero e proprio in cui il mediatore, da solo con i genitori, chiede a questi ultimi di esprimere il loro vissuto nell’esperienza di gioco, come hanno visto i loro ruoli genitoriali ma soprattutto il bambino durante queste interazioni. In questa fase i mediatori possono servirsi anche dell’uso dell’immagine videoregistrata delle situazioni di gioco, mostrando alla coppia le varie fasi e chiedendo loro di esprimersi al riguardo.
Questa tecnica può aiutare la coppia a riflettere sulle loro difficoltà, ma anche sulle loro risorse, focalizzando la loro attenzione sul loro figlio e sulle sue necessità ed essendo questo ultimo oggetto comune di interesse facilita la creazione di un clima collaborativo e il raggiungimento dell’accordo.
L’utilizzo di questa tecnica con i bambini in mediazione è frutto di una recente esperienza dei mediatori dell’ITF di Siena i cui esiti richiedono pertanto una prolungata attuazione nel tempo per essere valutati, ma che penso possa essere spunto di riflessione per coloro che operano nel settore.


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