venerdì 6 aprile 2007

UN MODO DI FARE MEDIAZIONE SISTEMICA

Enrico della Gatta

Socio Ordinario A.I.M.S.

Una specificazione del titolo di questa sessione, “mediazione istituzionale”, potrebbe essere quella di “mediazione tra istituzioni”, cioè l’insieme delle attività tese al raggiungimento di un obiettivo d’interesse comune, pubblico o socialmente rilevante.
In queste attività si trovano ad interagire vari e diversi Organismi o soggetti, pubblici e privati, che hanno competenze specifiche differenziate, ma che contribuiscono tutti, ognuno per la sua parte, in maniera determinante al raggiungimento dell’obiettivo.
Mi riferisco a tutti quegli Organismi attivi nei procedimenti e che, per segmenti, rendono eseguibili, attraverso le proprie decisioni, progetti che tendono a materializzare l’intervento d’interesse collettivo.
E’ chiaro che se questo è il modello, esso va calato in un contesto territoriale che lo completa e che certamente va a rappresentare una delle variabili indipendenti dell’intero sistema.
Tra i soggetti, però, ve ne è uno che in sé racchiude la capacità di esprimere il bisogno, manifestare il disagio, evidenziare il conflitto, agire per la risoluzione di questo ed esprimere la soddisfazione, esso è “l’utente”. Egli, cioè, è colui che dalla mediazione sistemica “istituzionale” deve trarre il proprio benessere.
L’insorgenza del disagio fa nascere il bisogno e, la necessità di soddisfarlo in qualche modo, fa nascere le relazioni che possono ingenerare il conflitto.
Pertanto, le “relazioni istituzionali” si sviluppano già dal momento in cui nasce l’idea progettuale, cioè quel momento in cui comincia a prendere corpo la possibilità di poter realizzare un qualsiasi intervento che coinvolge la collettività.
Si può, così, ipotizzare un “gruppo” che lavori in maniera globale e sistemica per poter affrontare il disagio, individuare il conflitto affinché possa essere utilizzato in positivo. Ciò al fine di raggiungere l’obiettivo dell’intervento progettato, senza deludere le aspettative dell’utente, ma dandogli il miglior benessere possibile.
Questo “gruppo” necessita di un “Conduttore” o “Presidente” che deve essere in grado di far svolgere tutte le attività sopra espresse in maniera il più possibile lineare perché l’obiettivo che ci si prefigge possa essere raggiunto attraverso una ottimizzazione dei parametri che intervengono ad influenzare la decisione finale.
Lo svolgimento di una tale attività di mediazione necessita di “sedute”o “adunanze”, convocate dal Conduttore, necessarie per mettere in relazione tutti quei soggetti, di cui si è detto, in compresenza in maniera che la contemporaneità possa far emergere anche i conflitti non palesemente espressi.
L’attività di mediazione nasce già sul “con chi” organizzare la seduta, oltre che sul come svolgerla, e le relazioni dal ricevimento dell’invito a partecipare. Tutti sono posti nelle condizioni di conoscere quali saranno i soggetti al cospetto dei quali si troveranno.
Pertanto, il momento della prima seduta è il più importante per l’annotazione dei soggetti presenti, ma soprattutto di quelli assenti, cioè di quelli che presuntivamente ritengono di avere una leadership tale da non doversi sottoporre al confronto che la seduta stessa gli impone.
Senza, però dover necessariamente connotare così l’assenza, il Conduttore, preso atto della non partecipazione di tutti, convoca una seconda seduta, sottolineando la necessità della partecipazione e la circostanza di dare inizio all’attività anche con degli assenti che non verrebbero più riconvocati fino al termine dell’intero procedimento.
Infatti, in tale seconda seduta, il Conduttore stipula, concordemente con gli intervenuti, un “contratto virtuale”, che oltre alle modalità generali del procedimento, fissa il termine dell’attività, che per altro, per legge, non potrebbe superare indicativamente i sessanta giorni.
Il gruppo si forma così nella seconda seduta ed il Conduttore può iniziare la sua attività di mediazione facendo in modo che emergano, con interventi relazionali, le varie opinioni dei soggetti presenti, ognuno per la propria competenza, sulla proposta di intervento oggetto dell’adunanza stessa.
In tal modo, il primo obiettivo del Conduttore è quello di provocare l’emergere nel gruppo dei vari conflitti, con l’utente e tra le Istituzioni, in maniera che l’intero gruppo possa lavorare su questi, senza dimenticare la base progettuale proposta dall’utente, cioè senza spostare l’attenzione su proposte mai formulate o comunque diverse da quella oggetto degli incontri e del contratto.
Quanto testé sottolineato, appare quanto mai fondamentale anche se può sembrare quasi ovvio, perché la capacità di mediazione del Conduttore deve estrinsecarsi proprio nel tenere sempre ben presente il disagio dell’utente ed il modo con cui egli stesso propone le condizioni per porsi in soddisfazione. Ciò perché, l’utente ha il diritto di partecipare attivamente al dibattito che si svolge durante le sedute, ma non ha facoltà di esprimere opinioni al momento della decisione.
La dialettica relazionale che è il fondamento dello svolgimento dell’espresso, e non, attraverso anche simbologie, è lo strumento di cui il Conduttore si serve per poter porre le interazioni su un livello collaborativo.
Si assiste, così, ad una rapida evoluzione delle relazioni, cioè: se all’inizio si avverte una contrapposizione, poi si avverte, in molti casi, quasi una convergenza di opinioni, che possono produrre sull’utente anche il convincimento estremo di aver commesso, nella formulazione della proposta d’intervento, una qualche valutazione parzializzante e che non induce, nella realtà, il benessere auspicatosi.
Ovviamente, per poter giungere al termine del contratto ed anche ad una decisione soddisfacente per tutti i soggetti, è necessario che il Conduttore possegga grosse qualità professionali e capacità di mediazione. Ciò sopratutto perché, questi, per poter tentare di ridurre o eliminare i conflitti, deve essere già un soggetto che sa come darsi risposte alle seguenti domande:

  1. qual’è il mio ruolo
  2. qual’è il contesto e su cosa bisogna confrontarsi
  3. verso cosa devo andare
  4. con quali modalità.

Solo attraverso un tale percorso ed una tale capacità di conduzione si possono svolgere attività di analisi del conflitto, di attenuazione o eliminazione di questo, nel rispetto delle regole di ogni soggetto partecipante al gruppo, in maniera da tendere alla collocazione o risistemazione di tutti quegli elementi che lo hanno generato.
In questa dinamica il Conduttore va a dare o restituire dignità ed autorevolezza ad ogni singolo soggetto, compreso l’utente, rendendoli riconoscibili e credibili, ricomponendo uno scenario, prima, ed un tessuto istituzionale, poi, che lavora per l’unico obiettivo proposto migliorandone sempre di più il “come” raggiungerlo.
S’ingenera e si sviluppa, quindi, un confronto emozionale tale che, attraverso la viva partecipazione alla dialettica, riesce a definire le responsabilità di ognuno e i suoi confini, attraverso una profonda ed attenta meditazione di tutti su:
A dove si sta
B dove si vuole andare insieme
C perché ed in che modo.
A tal proposito, cerco di raccontarvi ciò che mi si è presentato davanti all’inizio di un mio incarico a Presidente e Coordinatore delle Conferenze di servizio per l’approvazione di progetti di Opere pubbliche per conto del Provveditorato alle OO.PP. per la Regione Campania, in occasione di un progetto per una tratta ferroviaria intercomunale (interland di Caserta).
Il consesso da formare era un nutrito gruppo di soggetti, tra politici ed enti, che potesse partecipare alle riunioni con regolarità perché era in pericolo il mantenimento del finanziamento pubblico, atteso l’approssimarsi della fine dell’anno finanziario.
Pertanto, ho messo insieme cinque sistemi a confronto:

  1. Sistema politico nazionale (norme e indirizzi)
  2. Sistema politico locale (Regione-Provincia-Comuni)
  3. Sistema Enti pubblici e di Stato (Sovrintendenze-Autority-ecc..)
  4. Sistema propositore (progettisti)
  5. Sistema di Presidenza della Conferenza

E’ presto detto che l’importo del progetto, giusto per dare una idea, era di circo 75 miliardi ed il numero di persone presenti circa 50.
Immaginate, quindi, la difficoltà oltre la mia tensione per la paura che la conduzione mi potesse sfuggire di mano.
Infatti, alla prima convocazione, i politici in particolare, s’introdussero nel Parlamentino a disposizione per la seduta, stringendosi le mani tra loro, quasi non riconoscendomi e cercando di accomodarsi al tavolo della Presidenza, per ovvia abitudine a stare o porsi al centro nella conduzione. Gli schieramenti politici erano, peraltro contrapposti tra Regionali e Provinciali, ma in due casi non con quelli Comunali.
Furono informati dai miei collaboratori, i quali indicarono loro anche i posti al semicerchio; essi, un po’ imbarazzati, presero comunque posto collocandosi su quelli più alti dell’emiciclo di fronte al tavolo di Presidenza. Si crearono, così, a destra un emiciclo con tutti politici disposti in modo gerarchicamente decrescente dall’alto verso il basso e, tranne il sindaco del Comune più grande che stava sull’anello insieme al rappresentante della Provincia, si collocarono sullo stesso anello più in basso.
In una lettura orizzontale, invece, sul lato sinistro si erano posizionati, timidamente, i dirigenti dei vari Enti coinvolti a partecipare, quasi come in contrapposizione.
C’era un gran parlare, ed io stesso mi intrattenevo ora con l’una e ora con l’altra parte, cercando di creare connessioni rispetto anche all’evento che ci vedeva lì riuniti. Ma, quasi subito, intuii che la spavalderia di molti dei politici presenti era dettata da voglia di far prevalere la propria opinione e dalla sicurezza che questa fosse quella giusta e l’unica sensata da adottare. Come vi ho detto, però, gli schieramenti erano contrapposti, per cui si sarebbe giunti certamente ad una situazione di chiusura comunicativa, col rischio di non poter neanche avviare una disamina del progetto da alcun punto di vista tecnico.
Allora, fui costretto a limitarmi ad utilizzare quella convocazione solo per raccogliere le presenze e non controllare la efficacia delle deleghe con le quali si erano presentati molti politici, per evitare che la seconda convocazione, nel caso di specie obbligatoria, potesse essere boigottata prima della sua edizione.
Avvolte, bisogna utilizzare in positivo anche le pieghe delle normative che crediamo essere restrittive, cioè: riconvocazione obbligatoria allorché in prima convocazione si fossero avuti assenti.
Pertanto, con molto rischio di raccogliere proteste, anche forti, concordai la data della seconda convocazione e raccomandai a tutti di venire di delega efficace come per legge.
Tale opportunità mi consentì di ragionare con i miei collaboratori sul come poter svolgere una così, prevedibile, aggressiva Conferenza e, soprattutto, come avrei potuto far passare disinvoltamente, ma con autorevolezza, la nullità delle dichiarazioni di uno dei politici se questi si fosse presentato senza delega adeguata.
Affrontare il riconoscimento di un vertice politico, che si sente comunque rappresentante dei suoi elettori e, per l’Amm.ne di cui è capo, partecipante efficace per ingenerare la decisione finale, può essere letto come spiazzarlo per impedire una qualsiasi sua azione.
Mi inventai, così, l’utilizzazione di una tecnologia, cioè introdussi una innovazione nell’organizzazione della mia gestione: la informatizzazione in tempo reale di quella Conferenza, introducendo una sorta di catalogazione e selezione della “qualificazione della delega” affidandola al Software con la supervisione del Segretario della Conferenza, che ne controllava la conformità. Ciò, mentre io avrei continuato ad attivare tutte le connessioni possibili prima del formale inizio della Conferenza.
In questo modo, pensai che potesse essere, all’avvio delle operazioni, più rassicurante per tutti, perché il non poter ritenere utile la forma con la quale, ad esempio, quella presentata da un Sindaco che riteneva di poter partecipare alla Conferenza, sarebbe nato da un semplice chiarimento che avrei dato per far comprendere il motivo del rifiutato dal software: quindi, in questo modo avrei assunto meglio la funzione di garante di una procedura regolare, abbandonando gradualmente l’immagine di un burocrate che protendeva per qualche parte affinché si portasse all’approvazione il progetto così come era stato presentato e chissà per quali altri particolari motivi.
Con molta ansia affrontai la seconda seduta e potetti verificare, con soddisfazione che il riconoscimento di garante della trasparenza e della legittimità, in cui speravo per poter condurre a termine la Conferenza, me la ero guadagnata affermando il criterio di esclusione e utilizzando la metodologia informatica.
Ciò, perché il politico interessato alla non conformità della delega, oltre a ridurre qualsiasi forma di insistenza si sentiva comunque accettato, preoccupandosi, poi, che le sue affermazioni rimanessero scritte perché le avrebbe, certamente, fatte ratificare dal proprio Organo competente, acquistando l’efficacia richiesta, come da me suggerito.
Così il lavoro cominciò passando attraverso la iniziale fase del contratto, cioè quel momento che rende partecipativi tutti i soggetti, in quanto percepiscono l’impegno che devono profondere per raggiungere l’obiettivo e nei tempi fissati, avvertendo le responsabilità che stanno assumendo in quel momento.
Durante lo svolgimento delle diverse riunioni si dovette passare attraverso varie fasi di costruzione del consenso utilizzando modalità, sia nel rivolgermi in maniera sempre appropriato e sia utilizzando figure autorevoli che potessero sostenere incontri tecnici risolutivi di conflitti, man mano, emergenti.
L’aiuto della tecnologia, che mi aveva risolto un conflitto tangenziale, l’ho utilizzato anche nei momenti in cui l’oratore di turno mi andava via per la tangente, cioè mi scantonava o si abbandonava a considerazioni su persone o azioni fuori contesto. Voglio dire che mi è stato molto utile far sentire a questi ultimi la pressione che produce la dichiarazione registrata in tempo reale e quanto poco utile rimane la illazione vagante al raggiungimento dell’obiettivo, cioè di una comunicazione efficace. Ho utilizzato così, molto, la tecnica della riformulazione e del rilancio attivo e passivo.
Mi appare, infine, necessario sottolineare che tutto quanto ho potuto muovere si è fondato sull’ascolto, cioè su quel necessario elemento base della comunicazione che ha prodotto, in me e negli altri soggetti, una viva attenzione e partecipazione a tutto ciò che veniva trasmesso, aiutandoci a farci sentire valorizzati e riconosciuti, ognuno per le proprie peculiarità, oltre che importanti nel dare un contributo alla procedura di approvazione di un progetto che divenisse valido ed efficace.

In conclusione, credo di aver fatto, con questa breve chiacchierata, intravedere
un altro modo di vivere la nostra professione di “mediatore sistemico”,
non esclusivamente familiare, e, questo, vuole pormi anche come promotore
della proposta, al Comitato Scientifico, che, da esso, esca l’iniziativa
di implementare, presso tutti i centri A.I.M.S., la formazione, già in
essere, con un pacchetto d’interventi sulla “mediazione istituzionale”.
Ciò in considerazione del fatto che molti di noi sono nelle
strutture pubbliche o comunque si relazionano con queste, oltre che
di quello che la professione del Mediatore sistemico mi sembra rappresenti,
oggi, quella di cui, forse, si sente più bisogno, in quanto,
fondamentalmente, credo essa unisca per convergere su di una decisione
che dov
rebbe
tendere al soddisfacimento del bisogno per indurre benessere e ridurre
i conflitti.


Bibliografia

  • Richard H. Axelrod, “Coinvolgere i Collaboratori” edito dalla
    Francoangeli.