venerdì 6 aprile 2007

DALLA VALUTAZIONE ALLA MEDIAZIONE - LA CONDUZIONE DI UN CASO DI PRE-MEDIAZIONE IN UN SERVIZIO PUBBLICO

Mariacristina Cavicchia

Socio Ordinario A.I.M.S.


Quello che verrà presentato non costituisce un processo di mediazione familiare vero e proprio, si farà riferimento invece alla conduzione di un caso di Servizio Sociale nell’ambito del quale sono state attivate funzioni di mediazione ed in cui è stata privilegiata una procedura che contemplasse l’uso di tecniche e metodi di tipo negoziale.
Il caso ha origine da una segnalazione della Magistratura Minorile con cui veniva richiesta, ai servizi sociali di un comune della Liguria, una indagine psico-sociale in merito all’affidamento di una bambina i cui genitori, ex-conviventi di fatto (sebbene non avessero mai condiviso un’unica abitazione), si erano separati.
Il contesto di riferimento è pertanto di tipo valutativo, caratterizzato da un invio “coatto” da parte della Magistratura, circostanza questa inconciliabile con la realizzazione di una mediazione vera e propria (che presuppone invece, com’è noto, la contestuale sospensione di ogni procedimento legale, l’autonomia rispetto agli organi giudiziari e l’accesso spontaneo dei clienti). Tuttavia, l’attivazione di percorsi mediativi, nell’ambito della conduzione del caso, ha reso successivamente plausibile un invio verso la mediazione familiare, considerata, a quel punto, come la risorsa più idonea da proporre alle persone prese in carico.
La coppia, caratterizzata da una spiccata tendenza all’idealizzazione, non aveva mai costruito una progettualità condivisa anche a causa del mancato svincolo dalle rispettive famiglie d’origine.
Entrambi avevano mantenuto la stessa organizzazione della vita quotidiana adottata prima del loro incontro; in particolare avevano continuato a vivere in case separate, senza concordare alcun riadattamento significativo neppure dopo la nascita della figlia e, paradossalmente, la mancata rinegoziazione dei ruoli reciproci sembrava aver determinato la fine della loro relazione.
In modo collusivo avevano evitato, fino ad allora, il confronto dialettico, lo scambio profondo e sembrava essere mancato loro, in particolare, un modello di risoluzione dei conflitti. Tale modalità relazionale sostanzialmente elusiva, aveva comportato, tra l’altro, la mancata fissazione di regole chiare anche nei rapporti tra i genitori e la bambina alla quale, in particolare, non era ancora stata comunicata in modo esplicito l’ormai avvenuta separazione.
Dal punto di vista della strategia operativa adottata, gli operatori, in base ad una preliminare analisi della situazione, fondata sull’esame degli atti depositati presso il Tribunale per i Minorenni e su un primo colloquio con ciascun genitore, ipotizzarono che gli aspetti problematici sui quali concentrare l’attenzione non riguardassero direttamente, almeno in quella fase, la condizione oggettiva della minore quanto il conflitto in atto nella coppia, tra i cui membri si poteva comunque cogliere un clima relazionale non ancora così distruttivo da impedire un dialogo.
Pertanto, proprio a partire dai presupposti di base della mediazione ed in particolare dal fatto che:
il conflitto è visto in termini dinamici e trattabili,
viene promossa la collaborazione tra i genitori restituendo loro competenza e responsabilità,
si ritenne opportuno avvalersi, nella conduzione del caso, di strumenti e funzioni caratteristici di tale risorsa.
In una prima fase, nel corso di alcuni colloqui, venne ripercorsa, insieme alla coppia, parte della loro storia e quella della separazione. l’obiettivo immediato era quello di creare uno spazio di confronto e di scambio, in modo tale da attivare processi di elaborazione del lutto connesso alla separazione che consentissero, in ultima analisi, una progressiva attenuazione del clima conflittuale.
Successivamente si è cercato di individuare un’area tematica, inerente i bisogni della figlia, sulla quale convergevano l’attenzione e la preoccupazione dei genitori ed in relazione alla quale entrambi erano interessati a stabilire accordi condivisi.
Il problema principale, individuato secondo un ordine di priorità, riguardava il come ed il quando comunicare alla bambina in modo esplicito la separazione e, proprio a questo proposito, erano poi arrivati a negoziare una soluzione congruente.
Al termine del lavoro, dopo circa otto incontri, è stata avanzata una vera e propria proposta di mediazione familiare, specificando comunque che, in tale eventualità, si sarebbe trattato di una scelta autonoma e di un percorso sganciato da tutta la vicenda giudiziaria.
La coppia mostrò interesse in tal senso ed entrambi si dichiararono tendenzialmente favorevoli all’ipotesi di intraprendere un percorso di mediazione.


Alcune riflessioni.
La conduzione del caso in oggetto è stata aperta da una iniziale fase di analisi della domanda che si è tradotta, sostanzialmente, nell’’ esame del contesto di riferimento e nella scelta del percorso-procedura ritenuto più idoneo a soddisfare la duplice finalità di cui il Servizio Sociale era investito: valutazione ed aiuto.
L’esigenza di rimanere fedeli al mandato dell’Autorità Giudiziaria rendeva, come già anticipato, inconciliabile l’attivazione di una mediazione vera e propria. Inoltre non esisteva ancora, nella fase iniziale di conoscenza del caso, una richiesta più o meno esplicita in tal senso da parte di ciascun membro della coppia.
La fase di analisi della domanda è stata trasformata, pertanto, nella ricerca di quello che poteva essere, alla luce dei primi dati emersi, il percorso più opportuno e tecnicamente valido per:
rispondere al mandato della committenza fornendo una valutazione più puntuale e qualificata, che non fosse pertanto un mero adempimento ad un incarico;
attuare un lavoro di aiuto e sostegno all’utenza favorendo processi evolutivi e di consapevolizzazione;
cercare di prevenire i rischi legati al perpetuarsi di un clima conflittuale e confuso per la minore coinvolta.
Una delle conseguenze di questo maggiore confronto, attivato tramite il lavoro svolto, è stato il fatto che entrambi hanno iniziato a prendere decisioni comuni in rapporto alla bambina, rafforzando così la condivisione delle responsabilità genitoriali.
Inoltre l’aver preso contatto con elementi significativi della propria storia e di quella della coppia ha consentito di recuperare anche parti positive della loro relazione e tutto ciò, per ricaduta, ha inevitabilmente innescato un processo di rielaborazione del lutto connesso al vuoto ed al senso di fallimento conseguente la separazione rendendo possibile una graduale distensione del conflitto.
Si tratta, sia ben inteso, solo di un’attivazione di processi delicati e complessi che vanno poi sostenuti in altri contesti, per esempio proprio in mediazione, con l’obiettivo di fondo di riuscire a separasi come coppia continuando, comunque, ad essere genitori.
E’ un po’ come se tutto il lavoro svolto fosse stato propedeutico ad un successivo eventuale processo strutturato di mediazione familiare ed in tal senso esso può essere assimilato ad una sorta di pre-mediazione ed è proprio in quest’ottica che va letta, a mio parere, la proposta conclusiva fatta alla coppia di intraprendere un percorso in quella direzione.
Tale suggerimento è stato inoltre inserito nell’ambito delle conclusioni contenute nella relazione al TM, specificando comunque che si trattava proprio di un’indicazione, il cui eventuale accoglimento avrebbe determinato la realizzazione di un percorso sganciato dal procedimento giudiziario.
In altri termini si è cercato di trasformare la domanda implicita di lui (con la quale egli delegava ad un arbitro, nello specifico il Tribunale per i Minorenni, una decisione relativa alla propria figlia) in una comune domanda di mediazione familiare ed a convertire, in ultima analisi, un invio coatto in una occasione per costruire insieme alla coppia un progetto condiviso e mirato al cambiamento.
Alla luce delle considerazioni esposte mi pare pertanto di poter affermare che il lavoro effettuato ha assunto una dimensione processuale.
Nel concludere intendo far riferimento al mio personale interesse nel trattare il caso presentato secondo le modalità descritte.
A mio parere gli invii ai Servizi Sociali, da parte dell’Autorità Giudiziaria, di situazioni di conflitto di coppia in cui sono coinvolti minori e di casi di separazione in cui insorgono controversie per l’affidamento dei figli, richiedono, da parte degli operatori chiamati ad occuparsene, l’acquisizione di una professionalità mirata.
Ritengo che possa essere produttivo, nei confronti della suddetta casistica, evitare il ricorso a forme di intervento precostituite, per sperimentare invece modalità più funzionali di presa in carico, avvalendosi di strumenti operativi e di tecniche specifiche in rapporto al tipo di problematica trattata.
In tal senso il far riferimento a modelli teorico-metodologici pertinenti può consentire di riconoscere, in modo più circostanziato, segnali di disagio, rischi ad esso connessi e di affinare la capacità di lettura delle dinamiche familiari suscitate dall’evento separativo.
Ciò permette inoltre di provare ad intervenire, laddove è possibile, in modo tale da riattivare le risorse della famiglia e dei singoli componenti anziché sostituirsi ad essi attraverso la prescrizione di comportamenti da tenere.
Il lavoro appena illustrato rappresenta proprio un tentativo di utilizzare un’ottica di intervento ispirata alla mediazione familiare, proprio perché ritenuta particolarmente congruente con il caso trattato e per la sua potenziale valenza in termini promozionali (in relazione alla possibilità di coinvolgimento degli interessati in percorsi di crescita che restituiscano loro competenza ed autonomia) e preventivi (nei confronti dei rischi connessi all’esposizione al conflitto).
Concordo pertanto con quanto espresso da Luigi Cancrini e Francesca De Gregorio laddove sostengono che: “l’introduzione nei servizi di concetti relativi alla mediazione familiare appare estremamente utile nel tentativo di aiutare i partner di una coppia in crisi a ridiventare protagonisti della loro storia, senza lasciarsi travolgere dalle difficoltà organizzative”.

Note

  • L. Cancrini e F. De Gregorio “La relazione di aiuto con le famiglie multiproblematiche” in M. Malagoli Togliatti e G. Montanari (a cura di) “Famiglie divise” Franco Angeli Milano 1995 p. 202.