venerdì 6 aprile 2007

LA MEDIAZIONE SCOLASTICA - METODI E STRATEGIE

Lilia Andreoli

Socio Didatta A.I.M.S. Varese


La scuola, come altre istituzioni, è un sistema. Nella scuola interagiscono più figure professionali, interagiscono più individui.
La scuola come sistema è in relazione con altri sistemi. Pensiamo semplicemente agli agganci che la scuola ha con tutto l’apparato gerarchico del Ministero della Pubblica Istruzione.
Non solo, è in relazione con altri sistemi sociali: la famiglia, le organizzazioni del mondo del lavoro.
Ed è in relazione, in modo particolare, con quel sistema molto particolare che è l’individuo.
E’ l’istituzione per eccellenza nella quale si lavora sull’individuo, dove l’individuo costituisce la “materia prima” del sistema.
Questi sistemi, ed il sistema scuola in particolare, hanno come strumento fondamentale per mettersi in relazione con gli individui che lavorano in esso la “comunicazione”.
L’insegnante e l’allievo comunicano con il linguaggio, che è fatto di sapere, è fatto di teorie, ma anche con il linguaggio che attesta ciò che noi siamo, il nostro linguaggio, con un linguaggio che è nostro simbolo identitario.




“Come ogni scambio umano, la trasmissione di conoscenze e abilità comporta l’esistenza di una sottocomunità al cui interno si svolge un’interazione.
Esistono molte culture indigene che non praticano un insegnamento deciso a tavolino o decontestualizzato come il nostro.
Ma il “raccontare” e il “mostrare” sono patrimonio universale del genere umano, quanto il parlare.
Questa specializzazione viene solitamente fatta risalire al dono del linguaggio.
Origina anche dalla nostra straordinaria predisposizione per l’“intersoggettività”, la capacità che possiedono gli esseri umani di capire, attraverso il linguaggio e i gesti cosa hanno in mente gli altri” .



Ciò è reso possibile dalle parole, ma soprattutto dalla nostra capacità e volontà di comprendere il significato del contesto in cui le parole vengono pronunciate e vengono compiuti i gesti e le azioni.
E’ così che lo spazio delle interazioni diventa lo spazio della negoziazione dei significati.
Diventa lo spazio in cui conosciamo il sé dalla nostra esperienza interiore e riconosciamo gli altri come altro da sé.




“Il principio narrativo diventa una modalità di pensiero che aiuta i bambini (ed in generale tutte le persone) a creare una versione del mondo in cui possono immaginare, a livello psicologico, un posto per sé, un mondo personale”.



Immaginiamo in termini comunicativi la relazione insegnante-genitore, due componenti che si relazionano all’interno del sistema scuola, quando lo studente inizia ed entra nel mondo della scuola.
Abbiamo da una parte l’educatore naturale, il genitore, che come tale è investito della funzione di educare i propri figli, quindi di educare l’individuo.
A fianco del genitore, da una certa età in poi, emerge un sistema educativo molto più ampio del sistema famigliare, il sistema scolastico.
Nel sistema scuola abbiamo gli insegnanti che in qualche modo sono un’altra figura di educatore, ma questa volta educatore per professione.
Le accuse tra questi due mondi dell’educazione sono continue.

“Saprà l’insegnante occuparsi di mio figlio?”

“Saprà capire quali difficoltà sta attraversando?”

“Certo, con la famiglia che ha alle spalle… Chissà se a casa è seguito?”
E’ un continuo rimando di messaggi sulla presunta incapacità dell’uno o dell’altro componente dell’educazione, che oscillano tra un tentativo di delega reciproca per tutto ciò che non si riesce a fare ed il tentativo di preservare il figlio-discente dalle anomalie dei sistemi in questione, famiglia e scuola.
All’interno del sistema scolastico, nessuno avanza mai richieste per se stesso. L’insegnante richiede l’intervento sulla classe, sul ragazzo, sul bambino. Il genitore chiede l’intervento sul proprio figlio.
Uscire dall’idea che qualcuno sia la causa di qualcosa, che per forza in un conflitto qualcuno debba avere la colpa e qualcun altro debba essere invece assolto completamente, ci consente di avvicinarci maggiormente all’idea di comunicazione tra sistemi educativi.
Se chiedo per me stesso come genitore, se chiedo per me stesso come insegnante, lavoro in primo luogo su ciò che le relazioni che ho con gli alunni, con le persone che interagiscono con me all’interno del sistema, stanno provocando dentro di me e quindi ho maggiori possibilità di scoprire quali strumenti ho a disposizione per gestire questa relazione, per fare in modo che il conflitto non venga gestito dall’esterno, per fare in modo che il mediatore sia semplicemente un facilitatore, non un portatore di soluzioni.
Nella scuola per tanti anni si è operato sulla distinzione tra normale e patologico, tra chi disturba e chi ascolta, chi si adegua e chi non si adegua, chi insegna e chi apprende, chi sa e chi non sa...




“...La nostra epoca è in preda alle contraddizioni. Per la verità, ad un esame più ravvicinato, le contraddizioni in queste epoche si rivelano spesso delle antinomie, vale a dire delle coppie di verità ampie che,pur essendo a volte entrambe vere, tuttavia si contraddicono l’un l’altra.
Le antinomie costituiscono non solo motivo di conflitto, ma sono feconde anche di riflessioni…
Anche le verità educative sono afflitte da antinomie.
La prima antinomia è questa: da un lato, la funzione dell’educazione è quella di consentire alle persone, ai singoli esseri umani, di operare al meglio delle loro potenzialità, di fornire loro gli strumenti e il senso dell’opportunità per sfruttare al massimo le loro capacità mentali, le loro abilità e le loro passioni.
L’altra faccia dell’antinomia è che l’educazione ha la funzione di riprodurre la cultura che le fa da supporto, e non solo riprodurla, ma promuoverne i fini economici, politici e culturali.
La seconda antinomia riflette due visioni contraddittorie sulla natura della mente e sul modo di usarla. Una proclama che l’apprendimento avviene all’interno della testa,è intrapsichico. I discenti devono fare affidamento sulla propria intelligenza e sulle proprie motivazioni per trarre beneficio da quello che la scuola ha da offrire loro…
La teoria contrapposta sostiene che qualsiasi attività mentale è situata in un ambiente culturale più o meno abilitante che la supporta... I contesti culturali che favoriscono lo sviluppo mentale sono soprattutto e inevitabilmente interpersonali, perché comportano degli scambi simbolici e comprendono una varietà di iniziative in collaborazione con i pari, i genitori, gli insegnanti.
La terza antinomia riguarda la valutazione di modi di pensare, di costruire significato e di fare esperienza del mondo: come devono essere giudicati, in base a quali standard e da chi?” 1



Alcune parole-chiave ci servono da spunto per una riflessione più approfondita sul sistema scolastico: CONOSCENZA - COMPRENSIONE - INSEGNAMENTO - APPRENDIMENTO.




“La supremazia di una “conoscenza frammentata” nelle diverse discipline rende spesso incapaci di effettuare il legame tra le parti e la totalità.In essa l’unità complessa della natura umana viene completamente disintegrata nell’insegnamento delle discipline.
Così le realtà globali e complesse sono frammentate; l’umano è smembrato.
In queste condizioni, la mente formata dalle discipline perde la sua capacità naturale di contestualizzare i saperi, così come di integrarli nei loro insiemi naturali.
L’indebolimento della percezione del globale conduce all’indebolimento della responsabilità, in quanto ciascuno tende ad essere responsabile solo del suo compito specializzato, nonché all’indebolimento della solidarietà.
Il taglio delle discipline rende incapaci di percepire “ciò che è tessuto insieme”, ovvero nel senso originale del termine, il “complesso”.
Il termine di “comprensione” nell’istituzione scolastica fa riferimento generalmente a ciò che possiamo definire “comprensione intellettuale o oggettiva”, trattandosi della comprensione degli oggetti del sapere.”2



La conoscenza necessaria a questo tipo di comprensione è qualcosa di definito.
C’è qualcuno che la possiede, il docente, e qualcuno che non la possiede, il discente.
E’ una sorta di linea di demarcazione tra “insegnamento” e “apprendimento”.
Sono pochi gli strumenti che possiamo usare per attivare questo tipo di comprensione: norme, proibizioni, rigidità, blocchi, valutazioni… “ma potente è l’influenza che questo meccanismo ha sull’imprinting culturale di un individuo”.
In una situazione con questi contorni è facile avere la sensazione di smarrire il percorso, di essere “tra ciò che non è più” e “ciò che non è ancora”, avere un senso di rimpianto di ciò che era ben dichiarato, contestabile.
Il non ritrovarsi più simili a se stessi, a ciò che ci appartiene predispone un terreno di frustrazione e poi di rabbia … che espressa o meno va a costituire il terreno fertile per il “conflitto”.
Il vedere le proprie certezze vacillare giorno per giorno, davanti ad un incalzante bisogno, richiesta di comprensione aumenta il livello di ansia fino a pensare di negare l’evidenza, fino alla necessità di individuare un capro espiatorio (“devo finire il programma”, “suo figlio non ha limiti, non ha regole”).
Ma quali domande nasconde allora il conflitto?
- Governare l’ingovernabile?
- Mettere tutto a tacere, sedare?
Apparentemente forse sì. Ma di fatto ci troviamo di fronte ad una realtà in cui i progetti identitari sono in crisi:
- io insegnante: perché non riesco più a controllare, a governare una certa situazione?
- io genitore: come posso immaginare che il mio compito educativo sia fallito così miseramente?
- io studente: sono soggetto di questa relazione, o semplicemente un oggetto che apprende?
I cambiamenti che anche dalle agenzie esterne sono stati proposti, sono cambiamenti che noi definiamo di primo livello, educazione alla pace, educazione alla salute, educazione all’affettività… Sono sicuramente momenti positivi, ma se rimangono un passaggio di informazioni, un momento fine a se stesso in cui le persone con le quali ci relazioniamo sono comunque dei contenitori che devono essere riempiti, il meglio che ci possa capitare è di aver portato a termine il progetto che ci siamo proposti e non avremo alcun cambiamento.
Quello che definiamo come intervento che può produrre un cambiamento è un intervento di secondo livello. E’ un intervento in cui posso aumentare certamente anche il bagaglio delle informazioni di cui dispongo, ma in particolare va ad incidere sulla persona, sull’individuo, aiutano in qualche modo l’individuo a tirar fuori quanto c’è già dentro di sé.
E’ difficile, lo vediamo anche all’interno della scuola, i ragazzi hanno diverse potenzialità, hanno diversi modi di relazionarsi con le diverse discipline: abbiamo lo studente che eccelle in matematica, lo studente che eccelle in letteratura, ci sono diverse modalità, diversi approcci alle discipline.
E’ difficile trovare uno studente che non abbia niente da dirci, che non eccelle in nulla.
Molto probabilmente, e questa è un po’ l’idea che ci è venuta lavorando per anni con le varie componenti della scuola, c’è semplicemente qualcosa che li blocca, che blocca la possibilità che ogni ragazzo tiri fuori quanto ha dentro. Ma il discorso che facciamo con i ragazzi vale anche per gli adulti. Anche da parte degli insegnanti, credo che non ci sia nessun insegnante che abbia voglia solo di raccontare il suo sapere, di raccontare quanto ha appreso all’università.
Credo poi che nelle relazioni con l’allievo, con i genitori, in qualche modo entri in gioco qualcos’altro che va oltre il sapere, che è il nostro essere, quello che noi siamo.
Abbiamo dentro di noi un bagaglio che noi stessi non conosciamo, non sappiamo nemmeno di quali e quante potenzialità disponiamo e quindi è importante accettare in qualche modo di fare un percorso che ci porti a scoprirle per poterle utilizzare al meglio per noi stessi in primo luogo e poi nella relazione con gli altri.
La prima tappa del nostro percorso ci deve condurre allora a comprendere in termini identitari “che cosa noi come operatori” vogliamo raggiungere.
Entriamo nella scuola e poi?
Quale immagine di scuola abbiamo in testa?
Proviamo allora a pensare come “potremmo aiutare a formulare le domande che nascono dal conflitto, dal disagio”?
Abbiamo provato ad immaginare intanto che fosse necessario tentare di ridefinire i concetti prima visti.
Per attivare il nostro percorso riteniamo importante ripensarli in questo modo:
Pensiamo allora ad una “conoscenza” capace di cogliere i problemi fondamentali per inscrivere in essi le conoscenze parziali e locali.
Per fare questo è necessario avere visibilità su ciò che significa:
- contesto: la conoscenza delle informazioni o dei dati isolati è insufficiente. Bisogna porre informazioni e dati nel loro contesto affinché prendano senso;
- globale: nell’essere umano come in ogni essere vivente, si ha la presenza del tutto all’interno delle parti; la società in quanto tutto è presente all’interno di ogni individuo nel suo linguaggio, nel suo sapere, nei suoi doveri, nelle sue norme;
- multidimensionale: le unità complesse, come l’essere umano o la società, sono multidimensionali; l’essere umano è nel contempo biologico, psichico, sociale, affettivo, razionale;
- complesso: la conoscenza deve affrontare la complessità nel suo significato più profondo di inseparabilità dei diversi elementi che costituiscono un tutto.




“Occorre predisporre la mente ad aspettarsi l’inatteso per affrontarlo. Ci siamo installati con troppo grande sicurezza nelle nostre teorie e nelle nostre idee, ma il nuovo spunta continuamente.
Non possiamo mai prevedere il modo in cui si presenterà, ma dobbiamo aspettarci la sua venuta. E una volta giunto si dovrà essere capaci di rivedere le nostre teorie e idee anziché costringere il nuovo ad entrare nei nostri schemi incapaci di accoglierlo veramente.
Occorre tenere costantemente presente l’anello che lega intelletto e affetto.
Il piano delle emozioni e dei sentimenti può soffocare la conoscenza, ma può anche arricchirla: non dimentichiamo che lo sviluppo dell’intelligenza è inseparabile da quello dell’affettività, l’apprendimento è inseparabile dalla curiosità, dalla passione.
Questo richiede il libero esercizio della facoltà più diffusa e più viva nell’infanzia e nell’adolescenza, la curiosità, che troppo spesso la scuola spegne e che si tratta, al contrario, di stimolare o risvegliare.
Occorre pensare in termini di diversità culturale e di pluralità di individui.
La cultura è costituita dall’insieme dei saperi, delle abilità, delle norme, delle regole, delle strategie, delle credenze, delle idee, dei valori, dei miti, ed in particolare quelli che legano una singola comunità ai suoi antenati, alla sua tradizione, alla sua storia”.



L’educazione che è nel contempo trasmissione del passato e apertura della mente per accogliere il nuovo è al centro dei nostri obiettivi.
Dobbiamo imparare ad esserci, che significa imparare a vivere, a condividere, a comunicare.
Dobbiamo imparare non a dominare, ma a prenderci cura, migliorare, comprendere.
Educare per comprendere una disciplina è una cosa; educare per la comprensione umana è un’altra.
Ci si ritrova in questo modo nella dimensione più propriamente interiore dell’educazione, quella definita da un tipo di comprensione che definiamo “comprensione soggettiva” o nella sua dimensione più ampia, “intersoggettiva”.
Se condividiamo la definizione che “spiegare” è considerare come oggetto ciò che si deve conoscere e applicarvi tutti i mezzi oggettivi di conoscenza, allora possiamo affermare che la comprensione umana va oltre la spiegazione.
Questo comporta una conoscenza da “soggetto” a “soggetto”.
L’altro non è soltanto percepito oggettivamente, è percepito come un altro soggetto con il quale ci si identifica e che viene identificato con sé.
Comprendere comporta allora necessariamente un processo di empatia, di identificazione, di proiezione.
Ciò che andremo a proporre sarà allora:

• Un percorso che renda visibile i passi che uno fa per arrivare a formulare
una richiesta o anche semplicemente a fare delle affermazioni.




“Quello che caratterizza l’identità umana è la costruzione di un sistema concettuale che organizza una sorta di “documentazione” degli incontri attivi con il mondo, una registrazione che è riferita al passato(memoria autobiografica), ma che viene anche estrapolata per applicarla al futuro, un sé con storia e possibilità”1.



Attraverso questo percorso di acquisizione delle visibilità si disvelano:
- le sensazioni, come percezione di ciò che sta succedendo nel nostro corpo
- le emozioni, come stati complessi della persona, incontrollabili, accompagnate spesso dalla paura del loro manifestarsi
- le sostituzioni identitarie (io non mi sento più libero se …/ non mi sento un bravo insegnante se …)
- i pensieri
- le narrazioni

• Un percorso che tenga viva la passione, la partecipazione emotiva e nella
peggiore delle ipotesi la faccia riscoprire.
Quante volte lo richiediamo ai nostri ragazzi?
Quante volte neghiamo la loro espressione?

• Un percorso che tenga conto dei nodi cruciali, dei buchi che nell’esperienza
identitaria di ognuno di noi ha ed aiuti a riflettere per trovarne il “senso”.


Riassumendo, gli interventi identificati vanno in linea generale, in due direzioni:
- quella di una mediazione diretta: intervengo come terza persona tra le parti in conflitto ed aiuto a ridefinire il percorso che le parti stanno facendo, fornisco un modello, una modalità di comprensione
- quella di una mediazione indiretta, ossia di una “cultura della mediazione”.
Ma anche qui non basta:
- posso fare “cultura della mediazione” attraverso l’informazione: aumento il “livello di conoscenza” dei fenomeni, degli eventi
- posso fare “cultura della mediazione” attraverso la formazione: aumento il “livello di coscienza”, di consapevolezza, del proprio essere lì in quel contesto, in quella relazione.
Nel campo specifico della mediazione scolastica questa competenza professionale si esplica nella acquisizione di competenze di “ascolto” e di “counceling” nella relazione con i discenti, sia nel contesto duale, che nel contesto grippale.
L’acquisizione di una soddisfacente capacità di ascolto significa non soltanto “saper ascoltare l’altro” ma anche e, nello stesso momento “saper ascoltare se stessi, lasciarsi attraversare da...”.
Ascolto e counceling non costituiscono, per il mediatore scolastico, momenti separati del processo formativo: ogni insegnante può operare come mediatore, non solo in momenti specificatamente previsti, ma nell’ambito della stessa normale attività di insegnamento, sia nei colloqui individuali con gli allievi, le famiglie, sottraendo queste attività alla banalità e alla ripetitività e riconsegnandole alla dimensione ricca e difficile
della relazione comunicativa.


Bibliografia


  • J. Bruner “La cultura dell”educazione” – Feltrinelli
  • E. Morin “I sette saperi necessari all’educazione del futuro” – Raffaello Cortina Ed.
  • P. Busso – P. Stradoni “Come comunicare con gli altri”
  • E. Morin “Il metodo” – Raffaello Cortina Ed.
  • P. Busso – F. De Peri – P. Stradoni “Il metalogo: lingua, linguaggi e conoscenza”