venerdì 6 aprile 2007

L'ANALISI DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI NELLA CONSULENZA SISTEMICA ALLE IMPRESE


Rosita Marinoni


Didatta A.I.M.S. Centro Bateson, Milano rositamarinoni@moretto.it


Figlia:
Papà, perché le cose finiscono sempre in disordine?

Padre: Come? Le cose? Il disordine? Figlia: la gente è sempre lì a
mettere le cose a posto, ma nessuno si preoccupa di metterle in disordine:
Sembra proprio che le cose si mettano in disordine da sole. E poi bisogna metterle
a posto.

(G. Bateson, Verso un’ecologia della mente)


È proprio vero: le cose e le organizzazioni si mettono in disordine da sole! Poi a qualcuno viene in mente che si potrebbe chiamare un consulente nella pia illusione di trovare chi mette le cose a posto oppure, se si è teoricamente più evoluti, chi ci insegna come si fa a mettere in ordine. Così comincia ogni volta l’avventura dell’incontro tra azienda e consulente, che nel confronto tra le rispettive visioni del mondo e le relative strategie organizzative, cercheranno senza riuscirci, ma anche senza perdersi d’animo, di dare un ordine alle funzioni ed alle relazioni che ne costituiscono l’essenza più o meno consapevolmente ignari che “dato che risono infiniti modi disordinati le cose andranno sempre verso il disordine e la confusione” (Bateson,
ib.)

Tutti abbiamo tra i nostri modelli mentali una definizione di Organizzazione che ci assomiglia e nella quale ci riconosciamo; a seconda dei nostri gusti, della nostra impostazione ideologica e del nostro curriculum di studi e di esperienze, tendiamo a dare maggiore importanza alle persone che costituiscono una qualsiasi Organizzazione, piuttosto che ai legami operativi ed ai fini da conseguire, oppure ai mezzi ed alle risorse utilizzati.

Tutti comunque tendiamo a qualificare una Organizzazione come un insieme
non scindibile, integrato, di persone, strutture, mezzi e capacità di usarli, raccolti attorno a degli obiettivi più o
meno economicamente valutabili.

I Conflitti Organizzativi, fra tutti i tipi di conflitto, sono quelli che
si riscontrano nelle Organizzazioni, come conseguenza dei comportamenti delle
persone che ne fanno parte,comportamenti che non corrispondono alle aspettative
ed agli obiettivi che l’organizzazione si propone.

I Conflitti Organizzativi

I Conflitti Organizzativi si possono rilevare come riferiti al comportamento
delle singole persone facenti parte dell’organizzazione (primo livello), oppure a quello di interi gruppi individuabili di persone riuniti da strutture, procedure o professionalità comuni (secondo livello), ed infine al comportamento direzionale che viene associato alla definizione delle strategie, degli obiettivi e dei valori dell’Organizzazione
nel suo complesso (terzo livello).

L’articolazione dei Conflitti su tre livelli introduce un parallelismo
con i tre ordini di controllo nelle organizzazioni, come suggerito da
Perrow nel 1986: il controllo di primo ordine attraverso la supervisione
diretta, il controllo di secondo ordine attraverso i programmi e le procedure
di routine, ed il controllo di terzo ordine che consiste nei presupposti
e nelle definizioni che sono dati per scontati.

Quest’ultimo livello contiene i fondamenti della cultura delle Organizzazioni (le “premesse”) come concettualizzato da Schein (1985) che così definisce l’organizzazione:

“l’organizzazione deve essere concepita come un sistema aperto, il
che significa considerarla in costante interazione con l’ambiente”.

L’organizzazione dev’essere concepita come un sistema dotato di una molteplicità di scopi e funzioni, che comportino molteplici interazioni fra essi e l’ambiente.

L’organizzazione consiste in molti sotto sistemi in stato di interazione
dinamica tra loro; diventa quindi importante analizzare il comportamento di questi
sottosistemi siano essi visti come gruppi, ruoli o secondo altri concetti

L’organizzazione esiste in un ambiente dinamico che consiste in altri sistemi, alcuni più grandi e altri più piccoli dell’organizzazione. L’ambiente pone esigenze e limitazioni di vario tipo e in varie forme; il funzionamento totale dell’organizzazione non può quindi
essere compreso senza prendere esplicitamente in considerazione tali esigenze
e limitazioni

I molteplici rapporti esistenti tra l’organizzazione e l’ambiente rendono
difficile una chiara individuazione dei confini di una data organizzazione.”

La rete concettuale

Una polarizzazione su più livelli ci aiuta nella pratica ad identificare i Conflitti Organizzativi nella loro entità, consistenza, localizzazione e pericolosità,
e ci consente di assumere comportamenti bilanciati e strategie di intervento
e di comunicazione adeguati.

Una classificazione dei Conflitti Organizzativi ci permette di inserire in
una cornice i conflitti che andiamo ad identificare nella prassi della Consulenza
organizzativa, di qualificarli e di parlarne e discuterne, di identificare
il come, il dove, il quando essi si verificano. Consente inoltre la costruzione
di matrici mentali associate alle esperienze professionali passate, che ci
avvertono quando le cose “non quadrano”, quando nell’analisi qualcosa manca oppure è anomalo
o ridondante.

Chiaramente, l’atteggiamento mentale risultante richiede la qualificazione di Conflitto Organizzativo come fisiologica entità costitutiva dell’equilibrio stesso del processo organizzativo. La normalità è conflittuale.

Il Conflitto Organizzativo, a qualsiasi livello si verifichi, è sempre però, come sanno i managers di esperienza, la spia di una disfunzione esistente nel Sistema organizzativo, da qualche parte. Infatti anche il conflitto fra due singole persone, anche a basso livello, originato dalla comune appartenenza organizzativa, può dare
delle indicazioni su situazioni indefinite, irrisolte, frustranti od incoerenti.

Informazioni ben più consistenti possono essere tratte da Conflitti Organizzativi dove sono coinvolti gruppi anche consistenti di persone, coinvolti dall’appartenenza a gruppi sociali o professionali, a fasi diverse del ciclo produttivo, a “geografie” organizzative
e sociali diverse.

Già vediamo che se la nostra presupposizione associava al conflitto una connotazione negativa e di malessere sul quale intervenire “come i pompieri”, siamo ora costretti a rivedere il giudizio sulla produttività e fecondità del
conflitto organizzativo.

Se andiamo al livello superiore, che coinvolge e qualifica le compatibilità strategiche fra le azioni organizzative in diversi contesti, che sono tra loro in rapporto normale di antinomia o di concorrenza, rispetto alla ripartizione delle scarse risorse sui fini infiniti, abbiamo la conferma finale sull’importanza fondamentale del “controllo delle premesse” e quindi del controllo del tasso di conflitto, di competenza della direzione generale. E’ compito di questo livello la valutazione dell’adeguatezza e della tollerabilità del livello conflittuale del sistema, in relazione al raggiungimento degli obiettivi ed all’adesione ai valori condivisi da parte del corpo sociale dell’Organizzazione.

Chi agisce nella pratica della Consulenza rileva, identifica, qualifica,
progetta e pianifica il Conflitto Organizzativo ai vari livelli, nella consapevolezza
di non potere essere neutro nello sviluppo del processo, ma di essere a propria
volta attore e causa di conflitto nell’ambito del sistema organizzativo.

Gli effetti di una sottovalutazione o, peggio, di una scarsa consapevolezza
o cultura del ruolo attivo del Consulente “esterno” può portare a risultati disastrosi dal punto di vista del respingimento del consulente (la c.d. “resistenza al cambiamento”), indipendentemente dalla bontà ed adeguatezza dei miglioramenti proposti. Peggio, in quanto gli effetti di un comportamento irresponsabile od inconsapevole da parte del consulente si produrranno sicuramente, in assenza di strumenti di conoscenza sull’andamento del processo ed in carenza di qualunque possibilità di
controllo.

I sistemi complessi, specialmente quelli ad elevata ridondanza, come quelli
sociali o nei quali l’opera dell’uomo è influente, seguono
nel loro funzionamento logiche non aristoteliche. In una organizzazione umana
due disposizioni o regole fra loro antagoniste non generano il blocco del
sistema, ma un suo funzionamento anomalo, difficoltoso, diverso: un Conflitto
Organizzativo, appunto.

Lo stesso succede nei sistemi elettronici ad elevata ridondanza; il sistema
funziona secondo modalità di emergenza, a fatica, ma funziona.

Tipi di Conflitto Organizzativo

Abbiamo sopra dato una prima classificazione generale, teorica ma anche fattuale, dei Conflitti Organizzativi.

E’ possibile arricchire la rete concettuale aggiungendo altre ottiche diverse, che come al solito in un approccio sistemico si intrecciano e si influenzano in una matrice a più dimensioni.

Riscontriamo Conflitti Organizzativi di natura:

• Relazionale

• Organizzativa (strutturale o procedurale – polarizzazione all’efficienza
od all’efficacia)

• Economica (risorse a disposizione del sistema in relazione all’esterno)

• Sociale

Tale qualificazione di conflitti può naturalmente essere presente in tutti
i tre livelli sopra identificati.

L’evoluzione e lo sviluppo dei vari tipi di Conflitto Organizzativo varia naturalmente a seconda del livello al quale esso viene a situarsi. La risoluzione o la ricerca delle compatibilità sono naturalmente più semplici ed implicano molto meno alternative realistiche al primo od al secondo livello, presuppongono d’altronde
metodologie di intervento e discipline operative note e definite, si prestano
ad una valutazione di costi e di tempi di intervento ragionevolmente certi.

La capacità di “leggere” l’Organizzazione è naturalmente correlata all’esperienza ed alle competenze professionali del Consulente organizzativo, nonché all’esistenza di eventuali preclusioni mentali o di pregiudizi nei confronti di particolari tipi di Organizzazione, ed infine alla capacità personale
di mettersi in gioco.

L’evoluzione del processo di consulenza organizzativa è naturalmente più critica, difficoltosa ed eventualmente casuale quando il Conflitto è riconducibile
al terzo livello, quello dei presupposti e della strategia, che in ultima analisi
fa riferimento ad un uomo /una donna, ovvero ad un gruppo direzionale ben identificabile.

A questo livello il rischio del consulente di essere respinto prima ancora di
aver potuto leggere la struttura dei rapporti, lo schema dei ruoli e la gerarchia
dei valori, è elevatissimo.

Il ruolo del consulente, che genera comunque conflitto operando ai livelli inferiori
su mandato della direzione generale, diventa eventualmente l’elemento scatenante
del conflitto a livello direzionale rispetto ai presupposti di base della stessa
Organizzazione.

Il Consulente viene a questo punto messo gentilmente alla porta.

Il mandato

Il rapporto fiduciario fondamentale per lo sviluppo della consulenza trae origine dalla consapevolezza che esiste una sintonia personale professionale ed emotiva tra le persone interessate, e che le competenze del consulente potranno risolvere una condizione sentita come problematica.

Una variabile ed una variante ulteriore per il Consulente si verifica quando
il mandato consulenziale non viene espresso dalla direzione generale, ma da
una suddivisione organizzativa di livello più basso, di solito su aspetti operativi e settoriali. Il rischio in questi casi è quello di sconfinare su aree problematiche ovvero su Conflitti appartenenti al terzo livello, in modo consapevole o meno. Il risultato sicuro dell’azione su conflitti del terzo tipo senza un mandato del vertice organizzativo è la
messa alla porta, magari anche in modo poco gentile.

E’ necessario ricordare inoltre un basilare “warning” metodologico che deve guidare l’azione di consulenza nei confronti della direzione generale o del gruppo direzionale, ed è quello che ci mette in guardia nei confronti di ottimizzazioni arrischiate delle prestazioni dei sottosistemi organizzativi (sia sotto il profilo dell’efficienza che dell’efficacia) senza considerazione dell’ottimizzazione del sistema complessivo (come efficienza e come efficacia). Normalmente il comando di una nave richiede la disottimizzazione controllata ed “euristica” di tutti i parametri settoriali riguardanti le macchine, i consumi, la manutenzione, le energie, le scorte, la manodopera ed il suo utilizzo, il carico, il denaro, il tempo, la dimensione rischio di navigazione, a favore della realizzazione più favorevole del risultato previsto dell’azione. Il che, sappiamo, non significa “navigare a vista”, ma inserire dei coefficienti di sicurezza e di previsione che si basano sull’esperienza ed eventualmente sui pregiudizi del comandante. La Direzione, nonostante tutto, è ancora una attività artistica basata sulle qualità personali
del leader.

Questa considerazione aiuta nella definizione della proposta di consulenza
che è alla base del mandato che autorizzerà il Consulente ad operare, e del rapporto fiduciario con la direzione generale, la quale naturalmente tenderà a preferire la proposta che più sente simile alle proprie idee e presupposizioni legate alla sopravvivenza dell’Organizzazione
e queste, di solito, sono al primo posto!

La richiesta di formazione

La richiesta di formazione, soprattutto su tematiche legate alle relazioni
fra le persone, ha spesso come base un bisogno di adeguare ed armonizzare
i comportamenti dei componenti dell’organizzazione, generando cambiamenti di atteggiamento e di valori che ci si aspetta abbiano un effetto positivo sul funzionamento dell’organizzazione
e le facciano pertanto raggiungere meglio i propri scopi istituzionali.

L’intervento di un consulente esterno all’organizzazione, e per di più qualificato come esperto nelle relazioni interpersonali, deve essere letto nell’ottica di un processo circolare che nella costituzione del nuovo sistema impresa- consulente attiva situazioni che presentano contemporaneamente le condizioni perché si
realizzano conflitti, cambiamenti, apprendimenti, individuazioni.

La richiesta di un intervento formativo può quindi essere letta
come una possibile ipotesi di soluzione di conflitti organizzativi in atto.

Ci si aspetta che il consulente introduca nel sistema competenze relazionali
e/o tecniche che questi apprendimenti permettano ai soggetti e/o alle unità organizzative
di gestire e risolvere differenze che, generando conflitti, ostacolano
o indirizzano diversamente i cambiamenti organizzativi auspicati.

D’altronde l’offerta formativa è spesso rivolta a specifiche figure aziendali o a determinati livelli gerarchici o a settori determinati dell’azienda che vengono considerati o più bisognosi di spinte verso il cambiamento o più ricettivi
a nuove proposte organizzative, quindi potenzialmente trainanti dei confronti
degli altri.

Quale i sarà l’effetto degli apprendimento introdotti in una
parte del sistema sugli altri sottosistemi e sul sistema nel suo complesso?

La differenza tra coloro che sono stati coinvolti nell’attività di formazione e coloro che sono stati esclusi può quindi divenire generatrice di conflitti sia perché introduce differenze di legittimazione all’utilizzo di nuove competenze e strategie, sia perché può generare
di contro resistenza al cambiamento.

Possiamo evidenziare in una relazione circolare ricorsiva gli elementi
che caratterizzano l’intervento del consulente formatore individuandoli
come cambiamento, apprendimento, differenza e conflitto.



• Il conflitto è uno stato fisiologico dell’organizzazione

• Il conflitto nasce dalle differenze e crea differenze e cambiamento

• Le differenze creano apprendimento

• Gli apprendimenti portano cambiamenti

• Il cambiamento crea conflitti

• :Il conflitto è fonte di apprendimenti

Questi elementi faranno parte della mappa di lettura delle dinamiche organizzative
sia del committente che del consulente, seppure con posizionamenti diverso rispetto
alle priorità di intervento ed alle tipologie di conflitti organizzativi
presenti.

Orientamenti finalizzati

Il committente chiederà il consulente di intervenire partendo dall’elemento della rappresentazione circolare che più rappresenta,
per lui (e la sua funzione) in quel momento e secondo i suoi valori e presupposti,
la situazione problematica generatrice di disagio e/o di disfunzione organizzativa.

Il consulente in relazione ai propri valori, competenze ed apprendimenti,
leggerà la situazione che gli viene presentata partendo da quello degli elementi evidenziati che gli sembra più rappresentativo dell’intervento che intende proporre. Non di rado una differente lettura tra committente e consulente dell’elemento da cui partire per definire l’intervento organizzativo/ formativo costituisce una ragione di conflitto, solitamente non esplicitato, tra i due ed introduce elementi di disfunzione organizzativa nella gestione dell’intervento
previsto.

Avremo quindi tipologie diverse di richiesta da parte del committente che potremmo classificare come:

A la richiesta di consulenza/formazione per incrementare l’apprendimento

B la richiesta di consulenza/formazione per favorire il cambiamento

C la richiesta di consulenza/formazione per gestire conflitti

D la richiesta di consulenza/formazione per eliminare/amplificare
le differenze (favorire l’appartenenza e l’individuazione).

Da qualsiasi istanza parta la richiesta di consulenza l’intervento del consulente non agirà solo o prevalentemente nella dimensione di partenza considerata ma inevitabilmente andrà a
toccare e a sollecitare le altre dimensioni che in sequenza e misure diverse
saranno comunque sempre messe in gioco sia nella loro valenza positiva che
in quella negativa.

Solo considerando nella loro interdipendenza cambiamento apprendimento individuazione
e conflitto è possibile approcciarsi all’organizzazione per leggerne
le dinamiche organizzative e proporre interventi congruenti.

In questo si evidenzia il sostanziale dislivello tra una rilevazione quantitativa
e letterale delle richieste formative e una lettura della complessità organizzativa
che implica interventi di consulenza e formazione

 

A
La richiesta di consulenza/formazione per incrementare l’apprendimento


L’impresa mette in evidenza l’esigenza di incrementare i livelli di competenza tecnica e relazionale dei suoi componenti. Spesso la logica sottostante è quella del “più è meglio” e quindi il mandato sarà quello di aumentare il livello della conoscenza, di migliorare l’uso degli strumenti e delle metodologie, di stare al passo con l’innovazione.

Il conflitto organizzativo sottostante è spesso riferibile ad
una diagnosi da parte del committente di inadeguatezza, prevalentemente
imputabile alle persone alle quali si chiede di aggiornare il loro
modo di lavorare e/o di relazionarsi.

Immaginando come necessario ma sufficiente un cambiamento di tipo 1
si ignora che comunque la realizzazione di apprendimenti, per quanto
strumentali, non può avvenire se non utilizzando e valorizzando le differenze, riconoscendo le identità e ciò avrà ripercussioni
non solo nel cambiamento delle singole persone ma anche dei rapporti
organizzativi.

B La richiesta di consulenza/formazione per favorire

il cambiamento

Il committente ha come valore dichiarato una spinta all’evoluzione
e pensa che organizzazione e, parti di essa o alcune persone che la
compongono, non siano sufficientemente motivati e pronti per cambiare.

La richiesta di un intervento rivolta al cambiamento è in genere
determinata dalla visione che non sia possibile affrontare mercati
competitivi o evoluzione tecnologica senza proporsi nuovi scenari anche
di tipo organizzativo.

Per valorizzare il cambiamento spesso si squalifica o si minimizza
il valore dell’esperienza passata, negandone la valenza di fonte di apprendimento futuro e di elemento costitutivo della storia e dell’identità delle persone e dell’organizzazione.

L’atteggiamento è quello dell’entusiasmo per il nuovo, che siano nuove tecnologie, nuovi approcci organizzativi, o richieste di contenuti e modalità di
formazione originali che hanno come caratteristica principale soprattutto
quella di essere qualcosa di non ancora fatto prima.

Il rischio sarà quello di proporre un cambiamento che si esprime
prevalentemente negli enunciati non in una modificazione dei valori
e delle strategie complessive di gestione delle dinamiche organizzative.

Interventi rivolti al cambiamento possono generare resistenze e conflitti
più o meno espliciti, conflitti di lealtà nei confronti di figure o funzioni che in qualche modo rappresentano la storia e la continuità dell’organizzazione e possono in qualche maniera ostacolare l’apprendimento di nuove modalità operative o strategie organizzative più rispondenti alle esigenze evolutive dell’organizzazione.

Non è sufficiente riconoscere la bontà e la necessità del cambiamento ma bisogna anche apprenderne il linguaggio e gli strumenti integrandoli nella propria identità di membri dell’organizzazione.

C La richiesta di consulenza/formazione per gestire conflitti

Il committente ha rilevato nella propria organizzazione la presenza
di conflitti interpersonali o interfunzionali che non riesce a gestire
e dei quali non ha ben chiara la funzione e la prognosi. Spesso sono
già stati messi in atto strategie di controllo della situazione che non hanno dato i frutti sperati. La richiesta al consulente è allora quella di aiutare il committente a leggere il significato della situazione conflittuale, ma anche di favorire la comunicazione tra le parti, se non addirittura di riportare la “pace in famiglia” attraverso
interventi diretti con le parti in causa.

Questo intervento, che possiamo definire convenzionalmente mediazione,
deve avere tuttavia tutte le caratteristiche e le cautele di un intervento
di consulenza organizzativa. Infatti il consulente chiamato a intervenire
sui conflitti interpersonali o organizzativi non potrà mai assumere pienamente il ruolo di terzo neutrale in quanto incaricato dal committente, che ha assunto la responsabilità della
scelta e della retribuzione del consulente stesso.

I conflitti organizzativi ed anche spesso quelli interpersonali si
evidenziano maggiormente in momenti di crisi evolutiva dell’azienda, quando le richieste di cambiamento provenienti dall’interno o dall’esterno si fanno più pressanti e gli individui o i sottosistemi aziendali vedono messe in pericolo la propria identità,
il proprio ruolo, la propria stessa esistenza.

D La richiesta di consulenza/formazioneper eliminare/amplificarele
differenze (favorire l’appartenenza e l’individuazione).


In alcuni casi l’intervento di consulenza è richiesto per favorire e/o sottolineare differenze individuali, di funzione o aziendali in relazione a processi di cambiamento o ristrutturazione che incidono sull’identità dell’organizzazione e su quella lavorativa dei suoi componenti. E’ il caso di situazioni di fusione, incorporazione, privatizzazione, autogestione, ed altre situazioni simili che giungono dall’esterno dell’organizzazione e non propongono soltanto cambiamenti organizzativi ma si configurano come veri e propri salti tra una cultura ed un’altra.

Un’altra tipologia di situazione aziendale nella quale la consulenza ha la funzione di valorizzare le differenze si presenta nel caso di variazione di funzione e/o di status di un membro dell’organizzazione che, a seguito di una promozione, di un cambiamento di ruolo, dell’immissione nell’azienda familiare o altro, sarà coinvolto in attività di consulenza e formazione ad hoc. Il cambiamento di ruolo può essere vissuto in maniera destabilizzante dal sistema e dalla persona e dar luogo a conflitti relazionali e/o a conflitti interni e crisi di identità.

Alle tipologie di richiesta di consulenza possiamo far corrispondere tipologie di intervento codificate nella pratica consulenziale:

- per incrementare l’apprendimento = la formazione propriamente
detta

- per favorire il cambiamento = la consulenza organizzativa di processo

- per gestire i conflitti = gli interventi sulla comunicazione, sulle relazioni, la mediazione

- per favorire l’appartenenza e/o l’individuazione =
selezione, assessement, coaching

Queste attività però, anche quando costituiscono interventi che potrebbero considerarsi isolati, non possono mai prescindere da una lettura organizzativa quanto più possibile complessiva e devono essere sempre collocate in un quadro di riferimento che tenga conto delle dinamiche organizzative e quindi dei conflitti organizzativi che ne sono stati l’origine,
che le accompagnano e che da loro saranno originati.

Un conflitto organizzativo può essere quindi considerato come una delle componenti importanti per il raggiungimento dei fini organizzativi, bisogna però comprenderne
le origini le funzioni e le possibili conseguenze gestibili.

Ogni mutamento, ogni innovazione passano attraverso conflitti,
tra status quo e speranza futura ed in quest’ottica possiamo quindi considerare ogni organizzazione come un modo di amministrare uno o più conflitti.

Saper considerare i conflitti organizzativi non solo come conflitti nella e della
organizzazione, ma anche e soprattutto come conflitti che producono organizzazione,
al di là di valutazioni negative o positive, colloca l’intervento
del consulente in una prospettiva di promozione della autorganizzazione del sistema.

Possiamo quindi dire che la capacità e la specificità del consulente sistemico sarà quella di accompagnare l’impresa, attraverso la relazione con i suoi componenti, nelle sue dinamiche evolutive, tenendo in considerazione circolarmente ed interattivamente le dimensioni dell’apprendimento, del cambiamento, della differenza e del conflitto come motori, alimentati dalle relazioni, per la sopravvivenza e l’evoluzione
del sistema organizzativo.

 




Bibliografia


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