venerdì 6 aprile 2007

LA MEDIAZIONE SCOLASTICA SISTEMICA

Pasquale Busso

Socio Didatta A.I.M.S. Direttore Centro Studi Eteropoiesi Torino, Past President A.I.M.S.

La domanda di mediazione scolastica
La violenza giovanile all’interno delle istituzioni scolastiche è un fenomeno in costante aumento: furti, aggressioni, danni alle strutture, traffico di droga sono denunciati in numero crescente. Questo fenomeno non è un fenomeno soltanto italiano, ma è diffuso in modo più o meno preoccupante nelle cosiddette società del benessere (Charlot, Emin, 1997). Secondo Bonafé-Schmitt, conviene oltrepassare il problema che ci fa domandare se le cause della violenza scolastica siano endogene o esogene rispetto al sistema scuola. Occorre invece allargare la nostra prospettiva e interrogarci sulla crisi della regolazione sociale all’interno della nostra società. Infatti, “non si può ignorare che nel passato le scuole, allo stesso titolo delle strutture familiari e di quartiere, hanno sempre costituito dei luoghi di socializzazione e di regolazione dei conflitti” (1996, p. 106). Il modello ricalcava la concezione giudiziale della riparazione del diritto, all’interno della quale era il giudice a scegliere la soluzione più giusta. A livello scolastico la funzione di giudice era attribuzione del responsabile di istituto o degli insegnanti. Attualmente a livello formale è ancora così, ma da un punto di vista di costume e di cultura questo modello è entrato in crisi.
Si è passati da una concezione dell’istituzione scolastica come un luogo dove si apprende una socializzazione contrassegnata da civili regole di convivenza e reciproco rispetto, ad uno spazio relazionale, dove esibire forza, ricchezza o immagine sta diventando criterio prioritario di successo e di riconoscimento. Inoltre, il cambiamento del paradigma del ruolo paterno da un lato ha messo in discussione l’utilità della frustrazione e della sanzione quale metodo educativo, dall’altro costringe gli adulti a proporre un nuovo modo di concepire le regole di civile convivenza e di come sanare i conflitti che sorgono. Se guardiamo alle premesse epistemologiche della nostra cultura occidentale, è la concezione dell’altro come soggetto interlocutore a incontrare difficoltà. “Si consideri ad esempio l’uso, nel linguaggio di Verga, della parola ‘roba’. ‘Roba’, per il contadino di Verga, è il campo, la vanga, il carro, la casa; ma è anche la donna, i figli, gli animali. Tutto è ‘roba’. ‘Roba’ è il modo in cui egli chiama - e pensa - la ‘cosa’. Il contadino che ha a che fare con le ‘robe’ ha a che fare con la donna, i figli, il campo in quanto essi sono ‘robe’. ‘Roba’ è l’eco nella lingua italiana della parola tedesca Raub, che significa ‘preda’. Rauben vuol dire ‘rubare’, ‘predare’. Il contadino, il quale ha a che fare con le ‘robe’, instaura il proprio rapporto con il senso della ‘roba’: i figli, la donna, il campo, la vanga, gli attrezzi sono da lui sentiti e vissuti come possesso, ‘preda’’ (anche se ormai egli non se ne rende più conto, e quindi anche se nella lingua del contadino l’esser preda, da parte della ‘roba’, non emerge più esplicitamente). In questo caso, dunque, il senso dell’‘esser cosa’ determina la cosa - ogni cosa - come ‘preda’. La cosa è il depredabile e tutto sta dinanzi come depredabile. Si può allora perfino pensare che anche Dio sia una ‘roba’. (Severino, 1984, p. 372) Umberto Galimberti aggiorna i concetti del suo maestro in Psiche e techne. Nell’era della tecnica, a suo avviso, è avvenuto un mutamento di parametri e anche il concetto di uomo come soggetto non ha spazio: “il rapporto si capovolge, nel senso che l’uomo non è più un soggetto che la produzione capitalistica aliena e reifica, ma è un prodotto dell’alienazione tecnologica che instaura sé come soggetto e l’uomo come suo predicato” (1999, p. 42).
Pur se non condividiamo il pessimismo nichilista di questa tesi, dobbiamo tuttavia convenire che quando la regolazione delle relazioni viene affidata soltanto agli schematismi e alle semplificazioni di una cultura, che considera l’uomo secondo parametri meccanicistici, la violenza ha ottime probabilità di manifestarsi come reazione ad una manipolazione.

Obiettivi della mediazione scolastica
In linea con queste premesse, nella mediazione scolastica si opera innanzi tutto sui presupposti culturali, non soltanto a livello razionale, ma a livello globale, cioè della cultura che ingloba la complessità della psiche, sia nel suo aspetto umorale che nel suo aspetto relazionale. Percepire l’altro come soggetto significa proporsi a livello relazionale come aperti alla diversità, disponibili al dialogo anche quando dialogare comporta mettere in discussione se stessi. La mediazione scolastica si inserisce quindi in un più ampio progetto formativo di socializzazione, nel quale il valore sociale dell’uomo si misura in ragione della sua capacità di valorizzazione reciproca come soggetti di diritto e come soggetti produttori di senso.
Più in specifico tuttavia la mediazione scolastica ci porta a ripensare le relazioni all’interno del contesto scolastico, cioè mira a creare una nuova modalità relazionale sia tra allievi e insegnanti, che tra gli allievi e tra scuola e famiglia. Inoltre, “la mediazione partecipa alla ricostruzione di un nuovo ordinamento negli istituti scolastici, che si colloca a metà strada tra un ordine imposto e un ordine negoziato”. Non significa quindi che tutto può essere negoziato o che ogni decisione vada negoziata, ma solamente che si permette agli allievi “di partecipare direttamente alla costruzione di questo ‘ordine intermediario’, partendo non dalle costrizioni esterne imposte dagli adulti, ma dalle decisioni prese dalle parti in conflitto per mettere fine al conflitto” (Bonafé-Schmitt, 1996, p. 108).

Analisi della domanda
Il processo di mediazione scolastica si attiva quando la domanda implicita nei comportamenti di violenza e nei presupposti culturali diviene esplicita per l’azione di alcuni tra gli attori del sistema scolastico. La domanda di mediazione scolastica nasce per lo più dagli adulti, preoccupati del diffondersi della violenza nelle scuole o semplicemente dalle difficoltà nel gestire i problemi disciplinari. E molto spesso l’iniziale richiesta non è formulata in modo esplicito. Per fare un esempio, essa può essere nascosta dietro una richiesta di formazione per il superamento delle barriere generazionali. I professionisti o i centri che offrono formazione alle scuole si trovano spesso di fronte a richieste di intervento dirette agli allievi, come forma di supplenza ad una relazione zoppa tra insegnanti e allievi o tra genitori e figli o tra genitori e insegnanti. La conseguenza ovvia di questo dato di fatto è che il mediatore scolastico si trova innanzi tutto a decodificare la richiesta iniziale attraverso un percorso di analisi che comporta in prima istanza il rilevamento delle condizioni di fattibilità.

Condizioni di fattibilità
L’analisi della domanda di fronte ad una richiesta di mediazione concerne innanzi tutto il rilevamento delle condizioni di fattibilità. La prima di esse non è l’esistenza di contraddizioni o di contrapposizioni o di conflitti, che è scontata in qualsiasi realtà umana, ma è l’espressione di una domanda di aiuto di fronte ad una delle succitate difficoltà, quando viene vissuta come insuperabile. Nel caso di un conflitto va valutata inoltre l’esistenza di una disponibilità ad una tregua da parte delle polarità coinvolte.
La seconda condizione consiste nella disponibilità a scegliere come obiettivo non la vittoria sull’altro, ma l’accordo con l’altro in merito al contenzioso esistente. Al di là delle parole le persone devono considerare l’altro come un soggetto di diritto, non qualcuno su cui prevaricare.
La terza condizione concerne il metodo per raggiungere l’accordo: il dialogo. Il mediatore non è quindi il protagonista della costruzione dell’accordo finale. I protagonisti sono le due polarità in contrapposizione. Il mediatore scolastico è un facilitatore di comunicazione, è un esperto che aiuta le due polarità a superare le difficoltà derivanti dalla necessità di mettere insieme contraddizioni e contrapposizioni a prima vista incompatibili.
Da ultimo occorre verificare e stimolare il coinvolgimento di tutti i sottosistemi relazionali coinvolti attraverso il lavoro sulle obiezioni e l’elaborazione delle richieste specifiche, nascoste nei risvolti della complessità del sistema scolastico. Anche se l’iniziativa della richiesta di aiuto è partita da pochi, la risposta deve tenere conto di tutto il sistema relazionale, proprio perché attraverso di essa si propone un cambiamento del modello di regolazione dei conflitti e, come dicevamo poc’anzi, sono necessari consapevolezza e consenso per ciò che questo nuovo modello richiede ad ognuno.

Obiezioni
Durante il momento dell’analisi della domanda occorre prestare attenzione alle molte obiezioni che sono presenti sia tra chi fa la richiesta sia soprattutto tra chi non si espone direttamente. Le obiezioni più frequenti che si riscontrano riguardano in primo luogo la delega agli allievi della responsabilità della gestione dei conflitti. Al di là delle formali adesioni, a molti insegnanti il ruolo di mediatore affidato agli allievi stessi appare come un carico eccessivo data la minore età, in particolare quando si tratta di allievi delle elementari. Talora si prospetta come alternativa l’utilizzo di personale apposito.
Ad altri la mediazione scolastica appare come la rinuncia degli insegnanti al loro ruolo di educatori. La scuola, non si deve occupare soltanto della formazione intellettuale, ma anche dell’educazione degli allievi alla socializzazione. In particolare la delega ad esterni del corso di formazione può essere vissuto come un implicito giudizio svalutativo delle capacità del corpo insegnante.
I genitori inoltre possono preoccuparsi dell’eventualità che il loro figlio, diventato mediatore, possa subire rappresaglie dai compagni che ha cercato di mediare o che possa diventare il bersaglio di bande che poco gradiscono modalità di risoluzione del conflitto che siano diverse dalla legge del più forte. Esiste inoltre la preoccupazione circa la quantità di tempo che la formazione alla mediazione richiede. Non c’è il rischio che i ragazzi, già oberati dai programmi scolastici e non sempre motivati allo studio, approfittino del corso di formazione alla mediazione per cercare scuse dei loro eventuali insuccessi? (Bonafé-Schmitt, 1996)
Oltre a queste obiezioni se ne possono incontrare altre inerenti all’iniziativa in sé, poiché anche la mediazione scolastica, come ogni iniziativa istituzionale, può essere l’occasione per rinfocolare i conflitti esistenti tra diversi gruppi di interesse. Potrà avere successo se il mediatore scolastico saprà far evolvere tali conflitti verso un ricupero positivo delle risorse, che essi sperperano o anche soltanto immobilizzano.

Elaborazione della domanda in un’ottica sistemica
Il mediatore sistemico sa che il mondo relazionale si distingue in due ambiti: il mondo dei significati e il mondo delle relazioni. Il mondo dei significati comprende tutte le operazioni attraverso le quali un soggetto elabora la propria esperienza relazionale, attraverso vari livelli processuali, come il pensiero razionale, le scelte volontarie, le emozioni e le sensazioni. All’interno di questo ambito, come afferma Spencer Brown (1972), l’operazione primaria è la distinzione. Attraverso di essa il nostro mondo esperienziale si popola di oggetti sparsi nello spazio e la sua continuità viene spezzettata in termini di tempo. L’operazione successiva è un’operazione di correlazione, che si sviluppa in due direzioni diverse: correlazione di somiglianza e correlazione di differenza. E’ attraverso la correlazione di differenza che noi arriviamo alla contraddizione, ovvero a quella particolare correlazione tra due eventi di senso, che ne evidenzia la inconciliabilità.

Le contraddizioni
Quando si elabora il senso delle esperienze relazionali, la presenza di contraddizioni porta all’insorgere di grosse difficoltà. Le contraddizioni su cui il mediatore sistemico deve portare la sua attenzione sono le contraddizioni di tipo emotivo. Esse si collocano a livello dell’atteggiamento globale che il soggetto assume quando si trova di fronte ad un’esperienza relazionale nuova. Come ogni novità essa è fonte di incertezza: è come un punto interrogativo, che attende la costruzione di una risposta. Il soggetto si trova di fronte ad un bivio: può muoversi verso oppure muoversi via da, può lasciarsi coinvolgere nella relazione o evitare anche solo il contatto. Se si lascia coinvolgere, la psicologia ci dice che egli può godere dell’esperienza relazionale sviluppando diverse gradazioni di affettività o può rimanere deluso di sé per non essere riuscito ad ottenere gratificazione dalla relazione o sviluppare rabbia contro l’altro che non ha risposto alle proprie aspettative. Se non si lascia coinvolgere egli può mantenere una relazione anaffettiva, distaccata o darsi ad un attivismo proporzionale al rischio di essere sopraffatto o, ancora, rinunciare sdegnosamente al contatto.
Qualunque scelta il soggetto abbia sviluppato, nella misura in cui vi si identifica, egli si pone automaticamente in contraddizione emotiva, e prova disagio, di fronte ad un altro che abbia costruito la sua personalità sull’opzione opposta.

Le contrapposizioni
Nel mondo delle relazioni, le contraddizioni diventano contrapposizioni se i soggetti scelgono di schierarsi a livello relazionale con polarità opposte. Le motivazioni possono essere più o meno esplicite, più o meno ragionevoli, ma quando una scelta è compiuta i soggetti si trovano oggettivamente in una relazione di contrapposizione. Ognuno dei soggetti infatti produrrà decisioni e azioni, che interferiranno con le decisioni e azioni dell’altro. Se siamo in due a volerci appropriare di un unico oggetto, le nostre scelte ci porteranno ad una situazione, che comunemente chiamiamo conflitto, ma che nella teoria sistemica si chiama contrapposizione.
Possiamo notare che le contrapposizioni si possono sviluppare su alcune discriminanti: appartenenza, controllo, possesso. In termini di appartenenza, se consideriamo i tre sottosistemi alunni, insegnanti, genitori, sono possibili tre tipi di contrapposizione: • alunni e insegnanti nei confronti dei genitori: in termini di appartenenza alunni e insegnanti costituiscono la scuola, che ha una sua autonomia rispetto alla famiglia;
• insegnanti e genitori nei confronti degli alunni: in quanto adulti, insegnanti e genitori condividono un livello generazionale a cui i figli/alunni non possono accedere;
• alunni e genitori nei confronti degli insegnanti: il legame, che cementa genitori e figli, segna una barriera invalicabile per chiunque non condivida qualsiasi educatore.
In termini di controllo, ovvero di chi prende le decisioni, ognuno dei tre sottosistemi ha un ambito in cui gli è riconosciuta la responsabilità decisionale. Esistono tuttavia infinite possibilità di interpretare concretamente dove si collocano i confini di ogni area. Intorno a queste divergenze interpretative si possono generare contrapposizioni, con relativi schieramenti di chi si ritiene interessato allo sviluppo della relazione tra le due polarità. Portiamo, infine, attenzione al quadrangolo delle Bermuda, ovvero alle posizioni relazionali, che si sviluppano con lo strutturarsi di un conflitto. “Esse si possono così si possono schematizzare:
posizione di alleanza ad uno dei contendenti (a e b) posizione di inter…posizione (c)
posizione di spettatore/giudice (d)

Le posizioni a e b sono posizioni di alleanza fattiva con i contendenti. Da un punto di vista epistemologico la loro posizione è del tutto sovrapponibile a quella delle controparti. Il conflitto non cambia la sua logica per il semplice fatto che possano cambiare gli attori o che essi decidano di entrare in scena tutti insieme o separatamente.
Nella posizione c simbolicamente possiamo collocare tutte le persone che tentano di impedire ai contendenti di venire in contatto tra di loro. Essi possono essere paragonati alle forze di interposizione delle Nazioni Unite. Hanno la funzione positiva di impedire la conflagrazione del conflitto, ma non sono sufficienti per costruire la pace. A livello di un sistema familiare si pongono nella posizione c i pazienti designati, che si fanno carico di inserirsi tra papà e mamma, con strategie più o meno efficaci per impedire ai genitori di agire il loro conflitto (Ugazio, 1998).
Nella posizione d abbiamo gli spettatori-giudici, che con i loro rimandi decidono chi ha ragione o chi ha torto, il vincitore o il vinto. Il ruolo di giudice è riconosciuto dalla società. Tuttavia, i giudici possono congelare un conflitto a livello sociale, ma il loro intervento non muta la logica del conflitto come gioco relazionale che depaupera le risorse in dotazione al sistema complessivo.” (Busso, 2001, p. 32)
Il mediatore scolastico, venendo a contatto con una realtà complessa come l’istituzione scolastica, ha bisogno di precisi strumenti di valutazione per non collocarsi involontariamente in una qualsiasi delle posizioni illustrate, poiché tutte contribuiscono all’irrigidimento della contrapposizione. La posizione c in particolare consente alle controparti di rimandare qualsiasi decisione sul come utilizzare la contraddizione e la contrapposizione per una evoluzione della loro relazione. La posizione dello spettatore, potenziando la contraddizione ragione/torto, aggrava le difficoltà dei contendenti nella eventuale ricerca di una cornice di mediazione.

Percorsi di mediazione scolastica sistemica
I percorsi di mediazione scolastica sono almeno due a seconda delle domande esplicitate. Qualora la richiesta sia maggiormente incentrata sulla necessità di apprendere come utilizzare le contraddizioni e le contrapposizioni per farle evolvere attraverso strategie di cooperazione, il percorso privilegiato è il gruppo ‘metalogo’, ovvero un gruppo nel quale i partecipanti apprendono a dare senso alla propria esperienza relazionale, lavorando direttamente sui propri processi di senso. Qualora invece la richiesta si focalizzi sulla costruzione di setting di mediazione, funzionanti come veri e propri sportelli di ascolto a cui possono accedere tutti o parte dei sottosistemi relazionali dell’istituto scolastico, occorre pensare a formare veri propri mediatori interni all’istituto.

I gruppi “metalogo”
“Per gruppi “metalogo” intendiamo designare gruppi di formazione personale all’interno dei quali i partecipanti lavorano sui processi identitari di senso, al fine di dare visibilità a sé (ed eventualmente agli altri) delle modalità attraverso le quali ogni soggetto attribuisce senso al mondo o, meglio, al suo essere nel mondo (Busso, De Peri, Stradoni, 1993). Lo scopo è quello di portare il soggetto ad esperire le connessioni tra linguaggio e conoscenza, e quindi tramite questa esperienza ad accedere alla conoscenza dei processi su cui poggia la propria identità. I gruppi “metalogo” non consistono soltanto in una “conversazione processuale”, ma sono soprattutto un modo di esperire la creazione soggettuale identitaria del senso, scoprendone le radici nell’apprendimento e realizzandolo in un contesto interattivo di costruzione condivisa del senso medesimo.” (Busso, Stradoni, 1994, p. 43)
Questa è la definizione dei gruppi “metalogo” così come venivano realizzati in un’ottica di cambiamento dei processi di senso identitari. In senso più ampio gli obiettivi di questi gruppi si sono andati modificando a seconda delle esigenze dei partecipanti. In specifico per quanto concerne la mediazione scolastica essi hanno i seguenti obiettivi:
• esperire l’utilità della contraddizione e della contrapposizione, utilizzandole per l’arricchimento personale,
• acquisire la capacità di mutare ottica: dall’ottica “o … o” all’ottica “e … e”, ovvero di acquisire la duttilità di modificare il proprio modo di fare correlazioni tra le distinzioni abituali della nostra esperienza personale e relazionale,
• diventare capaci di distinguere tra identità sociale e identità personale e adeguare le proprie strategie relazionali a questa distinzione, utilizzando la libertà che deriva dal distacco rispetto al proprio ruolo nelle relazioni sociali,
• acquisire la capacità di distinguere il mondo dei simboli e il mondo delle metafore, quando si ha a che fare con la propria identità. Se l’io è tutta la realtà della persona e non soltanto una parte esigua di un sistema molto più grande, che pensa, agisce e decide (Bateson, 1976), se non è soltanto la metafora organizzativa della propria esperienza personale e relazionale, diviene difficile possedere la duttilità del dialogo, quando il dialogo si accompagna con la sofferenza.
Questi obiettivi vengono raggiunti:
• attraverso il doppio ascolto,
• attraverso l’intersecazione delle proprie modalità di dare senso alla propria esperienza relazionale con quelle degli altri partecipanti al gruppo,
• attraverso domande processuali che portino alla luce la connessione tra sensazioni ed emozioni da un lato e le strategie di gestione delle relazioni dall’altro.
L’ascolto nel gruppo “metalogo” è orientato su due livelli di processualità: “da un lato vi è attenzione analitica agli aspetti coscienti di un’esperienza concreta, dall’altro si lascia spazio ai processi di ‘coscienza marginale’ (Hadamard, 1993), dove i processi abituali di senso perdono forza e il ‘non senso’, l’inusuale, l’irragionevole, o anche il paradosso e l’assurdo, possono godere della possibilità di accedere al senso.” (ibidem, p. 44) Anche le contraddizioni e le contrapposizioni possono acquisire un senso diverso: il soggetto non vive più nella necessità di scegliere una polarità scartando l’altra, ma sperimenta la concreta possibilità di valorizzarle entrambe.
“La coscienza marginale è attiva su ciò che viene messo da parte, viene nascosto tra le pieghe, viene sfumato sullo sfondo, viene narrato tra parentesi e sembra trovarsi lì per caso. Esige del tempo per trovare le parole giuste che non nascondano a sé e agli altri il nuovo che ha appena svelato. Esige tempo per verificare ed eventualmente correggere il processo di sintonizzazione che si sta avviando tra la narrazione cosciente e ciò che da essa è stato escluso.” (ibidem, p. 44)
E’ di fondamentale importanza che un soggetto possa intersecare i propri processi identitari con altre persone. Egli infatti torna a sperimentare da un lato di trovarsi su posizioni emotive contrastanti con alcuni tra i partecipanti al gruppo, dall’altro è invitato a confrontarsi con essi, a dialogare con loro e attraverso il dialogo a scoprire la possibilità di connettere emotivamente ciò che prima sembrava inconciliabile. Tale esperienza gli può consentire di introdurre nuovi orizzonti di senso che aprono a modalità nuove di ascolto del desiderio, a nuove possibilità progettuali e a nuove realizzazioni e impegni. Di fronte ad un parlante che narra di una sua reiterata difficoltà a conciliare contraddizioni e contrapposizioni, le domande processuali hanno lo scopo di far luce sulle connessioni tra il livello emotivo e il livello cosciente della volontà. Tutto quanto è percepito inconciliabile a livello emotivo non può essere conciliato attraverso un ragionamento o semplici considerazioni di opportunità. Solo attraverso l’esplorazione di alternative emotive si possono aprire reali possibilità di scelta in armonia con tutte le istanze di un soggetto. Le domande processuali rivelano la loro utilità nel momento stesso in cui fanno emergere a coscienza i fondamenti emotivi delle proprie strategie relazionali. Esse mirano a stanare facili soluzioni di contraddizioni o contrapposizioni, costruite sulla scelta di sacrificare la parte considerata meno importante o con meno diritti o con più colpe.

I setting di mediazione scolastica
Il percorso che porta alla costruzione dei setting di mediazione scolastica comprende alcune fasi: la fase di sensibilizzazione, la formazione alla mediazione e la supervisione.
Il momento della sensibilizzazione ha come scopi:

  1. il cambiamento di paradigma culturale di tutti gli allievi, affinché essi comprendano i vantaggi per la crescita personale e sociale di un modello di regolazione dei conflitti che sia basato sulla negoziazione. Essi devono comprendere che per essere trattati da soggetti e non da oggetti, devono in prima persona dedicare un impegno personale al riconoscimento del diritto dell’altro alla sua diversità. Questo non significa subire o sacrificarsi per lasciare spazio agli altri, ma negoziare la distribuzione degli spazi relazionali. Semplicemente occorre essere disponibili a considerare i conflitti come occasione per una migliore definizione delle regole relazionali e per un arricchimento che deriva dalla conoscenza più approfondita della diversità dell’altro. Cambiare il paradigma culturale è la necessaria premessa per la scelta di ricorrere ad un mediatore ogni volta che sorga un conflitto di interessi o che succeda qualche spiacevole incidente.
  2. Il secondo obiettivo è il reclutamento dei mediatori allievi. Tale reclutamento non può essere il frutto di una scelta degli insegnanti o dei genitori, ma di una scelta personale di ciascuno degli allievi. Essi devono maturare l’impegno di dedicare alla collettività dei compagni di istituto il tempo necessario per un processo di mediazione ogni volta che ne saranno richiesti. E maturare inoltre la disponibilità ad apprendere in modo efficace abilità di mediazione.

La formazione alla mediazione viene fatta soltanto alle persone scelte tra insegnanti e allievi per fare da mediatori. I criteri per la scelta (Bonafé-Schmitt, 1997) sono:
• la volontarietà: nessuno può essere costretto ad assumere un ruolo impegnativo, che richiede l’adesione convinta della totalità della persona.
• la rappresentatività: le persone prescelte debbono godere di un buon ascendente sui loro pari. Tale ascendente può essere facilmente individuato attraverso la gestione di compiti di problem solving di gruppo, proposti durante la fase della sensibilizzazione. Inoltre devono • la legittimazione dei prescelti: terminata la formazione occorre pensare ad un momento dedicato all’ufficializzazione del ruolo di mediatore scolastico, esplicitando le regole di accesso al setting, la caratteristica di confidenzialità e le regole di scelta del mediatore in relazione a criteri di estraneità rispetto al sottosistema relazionale delle controparti.
Partendo dal presupposto che i partecipanti alla formazione necessitano non soltanto di una conoscenza teorica delle metodologie di mediazione, ma anche dell’acquisizione pratica di abilità adeguate, il programma di formazione comprenderà momenti di teoria, alternati da momenti esperienziali, dove i partecipanti potranno provare dal vivo la conduzione di incontri di mediazione e affrontare le difficoltà tipiche della medizione scolastica. In tal modo essi conosceranno fattivamente che il mediatore non è un giustiziere, né un mago, ma una persona normale che ha scelto di affinare alcune sue capacità.
• Capacità di ascolto sia dei contenuti che ciò che va al di là di essi. Essa comporta innanzi tutto l’acquisizione di un buon modello per chiarire i problemi a livello di contenuto e l’allenamento a sintonizzarsi con la sofferenza altrui.
• L’arricchimento delle abilità comunicative sia a livello verbale che non verbale. In particolar modo le abilità di comunicazione non verbale hanno bisogno di acquisire duttilità e ampliare lo spettro delle possibilità di successo del mediatore nello stabilire un buon rapporto di cooperazione per raggiungere gli obiettivi concordati, conquistarsi un ruolo neutrale, acquisire fiducia reciproca, emanare sicurezza nella guida. • L’apprendimento di una buona capacità di osservazione e di valutazione delle caratteristiche del conflitto delle risorse a disposizione e delle possibilità di evoluzione verso un accordo.
• L’acquisizione di tecniche di mediazione efficaci per le varie fasi del processo di mediazione: l’ascolto delle parti con l’esplicitazione dei rispettivi punti di vista, la crisi, ovvero la discussione e il confronto tra le parti in una cornice che metta in primo piano i comuni vantaggi, la catarsi, che si traduce in riscoperta dei canali di dialogo con l’altro e dell’altro come soggetto interlocutore (Morineau, 1999). • Capacità comunicative di chiarezza nell’esporre, nel sintetizzare e nell’evidenziare ciò che unisce e il lato positivo delle diversità.
• Capacità di non lasciarsi coinvolgere dal conflitto, ma di conquistarsi una posizione di equidistanza attraverso la creazione di un buon rapporto di fiducia con le controparti.
• Capacità di non dare consigli o soluzioni personali, ma di guidare le controparti a produrre essi stessi una soluzione alle loro divergenze.
• Capacità di mantenere il segreto professionale su quanto emerge nel processo di mediazione e capacità di valutare se il compito è proporzionale alle proprie abilità. La supervisione è necessaria per completare gli apprendimenti del momento formativo, per dare fiducia e autostima ai mediatori, per allenarli ad apprendere dalle difficoltà che di volta in volta incontrano. Abitualmente il periodo di rodaggio prevede momenti di supervisione per ogni incontro di mediazione che i mediatori principianti si trovano ad affrontare. Successivamente la supervisione acquista il carattere di formazione che affina le capacità già acquisite e le rende efficaci anche nelle situazioni ad elevata criticità.

Conclusione
Per concludere possiamo sottolineare come la mediazione scolastica sistemica si qualifica per l’attenzione alla complessità della domanda sia a livello dei presupposti epistemologici, sia a livello dei giochi relazionali, di cui i conflitti si nutrono. Richiede inoltre una buona preparazione del mediatore scolastico sia come formatore di altri mediatori, sia come esperto di comunicazione per muoversi in contesti complessi, dove sottosistemi relazionali diversi possono muoversi secondo logiche contrastanti.

Bibliografia

  • Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976.
  • Bonafé-Schmitt J.P., “La médiation scolaire: un processus éducatif?”, Revue de psychologie de la motivation, n. 21, 1996.
  • Bonafé-Schmitt J.P., “La médiation scolaire: une technique de gestion de la ou un processus éducatif?”, in: Charlot B. e Emin J. C. (a cura di),Violence à l’école, Colin, Paris, 1997.
  • Busso P., F. De Peri, P. Stradoni, Il “metalogo”: lingua, linguagggi, e conoscenza, Metalogo, Milano, 1993.
  • Busso P., P. Stradoni, “Gruppi metalogo e accesso al senso dell’identità personale”, Animazione Sociale, n. 8/9, 1994, pp. 40-46.
  • Busso P., “Le origini epistemologiche del conflitto”, Animazione Sociale, n. 10, 2001, pp. 27-35.
  • Charlot B. e Emin J. C. (a cura di), Violence à l’école, Colin, Paris, 1997.
  • Galimberti U., Psiche e techne, Feltrinelli, Milano, 1999.
  • Hadamard J., La psicologia dell’invenzione in campo matematico, Cortina, Milano, 1993.
  • Morineau J., “Dare ascolto al disordine. Il significato profondo della mediazione sociale”, Seminario Logos, Genova, 12/3/1999.
  • Severino E., Studi di filosofia della prassi, Adelphi, Milano, 1984.
  • Spencer Brown G., Laws of Form, New York, 1972.
  • Ugazio V, Storie permesse, storie proibite. Polarità semantiche familiari e psicopatologia, Bollati Boringhieri, Torino, 1998.