venerdì 6 aprile 2007

LA MEDIAZIONE SCOLASTICA - LINEE GUIDA E DESCRIZIONE DI UN PROTOCOLLO DI RICERCA

Donatella Bottiglieri

Socio Didatta A.I.M.S. Ecopsys - Napoli


All’interno del variegato campo d’intervento che viene individuato con l’esteso capitolo della mediazione scolastica, il nostro progetto si caratterizza nell’articolare le sue metodiche a partire dal vertice organizzativo specifico di un protocollo di intervento-ricerca mirante alla prevenzione nei confronti del disagio giovanile.
Parlare di prevenzione in area scolastica sta ad indicare il riferirsi a specifici comportamenti a rischio della popolazione giovanile come l’attuale esacerbarsi di condotte violente e della devianza in genere.
Talune correnti di pensiero come ad esempio quella espressa dall’analista Peter Furstenaù, ricordano come particolarmente l’istituzione scolastica sia strettamente “imparentata con l’istituzione familiare” e quanto in essa si ritrovino diffuse, nell’”humus culturale condiviso”, definizioni di “pace” come sinonimo di a-conflittualità, bontà, buonismo.
Iscrivere il nostro progetto nel grosso corpus della mediazione scolastica significa, in prima istanza, operare una “trasformazione semantica” dei termini di “pace” e di “conflitto” e non sottovalutare la portata della influenza che la scuola esercita come sistema sociale, nel rilevare “la staffetta educativa” dei genitori, che mira alla accettazione incondizionata delle regole, al controllo, alla formazione del carattere, alla regolazione delle condotte attraverso la definizione, spesso rigida, di funzioni, ruoli e stili di relazione.
La scuola rivista in quest’ottica ci appare, quindi, come campo istituzionale foriero di relazioni e lo sceglierla come ambito d’intervento è connesso a griglie di lettura sistemiche che non possono prescindere dall’analisi delle relazioni stesse che legano i suoi attori e dal considerarla luogo relazionale fondamentale dello scontro e dell’incontro con l’alterità che struttura la crescita.
Parlare di relazioni ci induce a considerare l’istituzione scuola come sistema di legami in cui i soggetti sono in parte interessati, in parte costituenti; in tal senso, l’istituzione struttura l’individuo che contrae con essa rapporti che ne sostengono l’identità.
Così riletta, la scuola ci appare come “sistema polinucleare e intrecciato” in cui si manifesta uno sforzo costante per costruire rappresentazioni comuni e matrici identificatorie, mentre si sperimentano nuovi spazi di legame e di pensiero.
A questo punto vista l’enorme diffusione di rappresentazioni della scuola come “famiglia-altra”, vanno precisate quelle che per noi rappresentano le differenze sostanziali tra i due sistemi, differenze che servono a definire il campo del nostro intervento e i rischi connessi all’assunzione di letture “familistiche” del sistema scolastico stesso.
La famiglia rappresenta un nucleo sociale di estrema rilevanza; ha assunto configurazioni diversificate nel tempo e si identifica nella rete dei rapporti affettivi che la fondano e che ne costituiscono il fine ultimo: “l’appartenervi”.
La scuola altresì rappresenta un sistema sociale con una propria storia e una propria organizzazione finalizzato ad un prodotto formativo nonchè a divenire luogo della socialità, delle relazioni, in sintesi dell’esperienza sociale.
Spesso rileviamo nella scuola una organizzazione delle relazioni retta prevalentemente dalle sole dinamiche affettive che spazzano via il fine ultimo di tale sistema, il suo “fine produttivo”, che attiene sia alla trasmissione di competenze attraverso l’apprendimento, sia alla costruzione di una attitudine alla relazione sociale attraverso la valorizzazione dell’estraneo che fonda sulla convivenza.
Come ricorda R. Carli, “la convivenza è il primo e più importante prodotto della relazione sociale” e nasce nell’interscambio tra il sistema d’appartenenza la famiglia e, l’estraneo.
Lo sviluppo di relazioni improntate alla convivenza diviene il passo fondamentale per organizzare rapporti che implementino e valorizzino le competenze acquisite.
La scuola rappresenta il luogo maggiormente popolato di estraneità, dove per estraneità intendiamo sia l’alterità, l’altro sconosciuto, sia una cultura-altra che ancora non ci appartiene.
Sostenere una rete di relazioni organizzate intorno all’asse della convivenza significa acquisire le abilità necessarie alla costruzione di regole di rapporto sempre nuove che organizzino l’incontro con l’estraneità.

È possibile, quindi, a giusto titolo, assimilare un protocollo di ricerca-intervento di mediazione scolastica tra quelli elettivi per lo sviluppo di un’attitudine alla convivenza, alla regolazione e alla trasformazione di quei rapporti che, attraverso l’espressione rigida del conflitto, segnalano l’impossibilità di comunicare e convivere con colui o coloro che in quel momento rappresentano estraneità non traducibili in alterità con cui dialogare.
Tali premesse, seppur scarne, ribadiscono la portata e i vantaggi, ma anche le difficoltà, insite nel progettare interventi da effettuare nella scuola che riletta come sistema diverrà teatro di circuiti ricorsivi che includeranno l’individuo.
Torniamo ai costrutti di pace e conflitto…. ci aiuta il vocabolario:
pace: stato calmo, quiete d’animo ben ordinato che possiede il dominio di se stesso, stato di un popolo che non ha guerra;
conflitto: combattimento, contesa tra due attori, lite, si dice di cose, di qualità opposte messe accanto.
Il costrutto di “pace” come bontà e armonia, assume nel sistema scuola la potenza di un mito sotterraneo e condiviso, trapiantato dalla famiglia alla scuola ne rappresenta un grosso portato ereditario.
Permangono impostazioni pedagogiche “fondate sull’idea dello star buoni, dell’implementare la bontà nei bambini cattivi, nell’enfatizzare tutto ciò che richiama la tranquillità, l’armonia, il benessere assoluto, la fraternità totale”.
Il conflitto diviene, così, una dimensione da bandire perché non attinente all’area dei buoni sentimenti dell’essere umano, all’area della virtù.
La sua collocazione si pone su di una gamma di possibilità cromatiche che includono l’invidia, la rivalità, l’inimicizia, la rottura relazionale, la disfunzione con una subitanea risposta di attivazione del circuito ricorsivo conflitto ´ rimedio ´esclusione.
Tali letture del conflitto e della pace massivamente diffuse, si contrappongono fermamente, producendo l’una, quella attinente al conflitto, protocolli di rimedio normativo o di espulsione, l’altra, quella attinente alla pace, sostegno cieco, gratificazioni sociali e accondiscendenza.
Il mondo dei conflitti, però, aldilà della diffusa logica “remediale” che cerca di ridurre la sua portata, rappresenta altresì un complesso e vitale sistema in cui trovano alimento ragioni e passioni, deriva da molteplici fattori e si estende con pervasività dal micro dei conflitti inter-individuali, al macro di quelli sociali.
Il conflitto, riletto in un’ottica ecologica, diviene strumento di riaffermazione del legame sociale e dei suoi meccanismi comunicativi.
Va fatta una differenza tra “conflitto” e “dissidio” per ben individuare le tipologie di conflitto che, rilette in un’ottica ecosistemica, sono suscettibili di essere considerate come occasioni eccellenti di morfogenesi.
Infatti, come genialmente Simmel indicò col “paradosso comunitario dei litiganti”, nel conflitto, quello che separa è esattamente quello che unisce e la lite attiva presuppone un intenso mondo di relazioni e di legami.
Nel dissidio altresì, ogni comunicazione è interrotta, non c’è terreno comune, è assente alcun contatto ed esso stesso può essere identificato con l’impossibilità di creare spazi di di condivisione e di convivenza.
Entrare nel mondo della scuola come mediatori e soprattutto come portatori della cultura della mediazione, significa incontrare rigide e monolitiche definizioni condivise di conflitto e di pace e rischiare di lasciarsi risucchiare “dal mostro della delega istituzionale”, cacciandosi, inevitabilmente, nella sconfitta dell’onnipotenza o nel trionfo dei deleganti che avevano bisogno solo di conferme istituzionali alla loro impotenza.
La cultura del buon senso vede la pace come antitetica al conflitto: in tal senso, un progetto di mediazione scolastica dovrà introdurre nel sistema scuola una vera e propria rivoluzione epistemologica partendo da premesse teoriche diametralmente differenti. La pace andrà così intesa come coerente con il conflitto perché è esattamente la sinergia tra pace e conflitto che permette di mantenere vitale l’oscillazione nelle relazioni.
Il conflitto andrà inteso come produttore fertile di cambiamento, di creatività, di genesi all’interno di relazioni che però tollerino e si arricchiscano delle diversità e del confronto.
D. Novara parla di vera e propria “alfabetizzazione” al conflitto, di un addestramento cioè, lento e continuo, che può divenire obiettivo ultimo del sistema scolastico, che possa produrre nuove capacità relazionali “sostando” dentro al conflitto in una incessante e attenta area dialogica con la diversità e l’alterità. “Sostare” nel conflitto assume così il senso di approfittare del punto critico offerto dalla relazione, per esprimere parti di sé ed esplorare quelle sconosciute proprie ed altrui. La turbolenza emotiva che sempre sottende la dimensione conflittuale, ha, però, ingenerato tendenze interventiste tese all’agire soluzioni. Tali tendenze organizzano barriere sociali che si oppongono a modalità alternative di risposta, che affrontano, altresì, i coaguli emotivi che il conflitto ingenera, attraverso il procedere “mediatamente” e che si esplicano nel concedersi i tempi giusti per avanzare per posizioni intermedie.
In tal senso, la scelta del nostro ambito di azione-ricerca è connessa al considerare la diffusione della mediazione, alla stregua di un’azione di prevenzione elettiva nel disagio giovanile e sociale, tant’è che nel nostro progetto la prevenzione assume la qualità di dimensione che struttura la pratica.
Introdurre metodologie e letture mediative nella scuola, ha quindi lo scopo centrale di integrare alle già presenti competenze sistemiche quelle provenienti dalle pratiche di risoluzione alternative dei conflitti per costruire “spazi mediatori” al fine di promuovere il coordinamento e la collaborazione in modo autosufficiente nel sistema.
L’applicazione di logiche e protocolli di mediazione nella scuola assume così il carattere di prevenzione in quanto restituisce competenza al sistema attivandone il motore morfogenetico.
In ambito scolastico, l’intervento deve mirare a far sì che il sistema possa integrare e fare sue le competenze mediative per riordinarsi o trasformare il suo funzionamento, imparando contemporaneamente ad apprezzare le risorse che già vivono al suo interno.
L’ulteriore obiettivo è identificabile nel sostenere gli attori del sistema a divenire protagonisti della propria rete relazionale, acquistando la capacità di risolvere i propri conflitti in maniera evolutivo/costruttiva e non involutivo”distruttiva.
Affrontare precocemente i conflitti prevenendo la loro cronicizzazione o il ricorso a sanzioni disciplinari diviene, inoltre, dimensione di apprendimento su se stessi e su se stessi in relazione, con il subitaneo accrescimento della dimensione dell’autostima sistemica e individuale.

Breve excursus storico sullo sviluppo della mediazione scolastica
I primi progetti di m.s. li ritroviamo negli Stati Uniti intorno agli anni ’60 all’interno del più esteso “Children’s Projects for Friends” incentrato sulla promozione della non violenza.
I principi che orientavano tale progetto ebbero origine dalle premesse che organizzavano la già più sviluppata mediazione di comunità che specificamente articolava i propri protocolli d’intervento nei casi di conflitto tra persone che condividevano gli stessi spazi sociali.
Nel 1972 negli Stati Uniti nasce il CCRC, “Children’s Creative Response to Conflict”, il primo programma per la scuola elementare, teso soprattutto ad implementare l’attitudine alla cooperazione e alla comunicazione.
Negli stessi anni si organizzò un iter formativo per le scuole elementari, il “Conflict Manager Curriculum”, teso all’acquisizione di competenze specifiche.

È dell’84 la nascita del “NAME”, “National Association
for Mediation in Education”, la prima associazione nazionale per la diffusione
e la promozione della mediazione scolastica. Seguono a ruota i progetti inglesi,
grazie all’associazione Mediation U.K., quelli tedeschi e australiani.

È esattamente sulla scia del pensiero di Bonafè-Schmitt, che concordiamo
nel considerare la mediazione scolastica un modello alternativo al modello disciplinare
applicato nella scuola che produce inevitabilmente processi di stigmatizzazione
ed espulsione attraverso l’attuazione di sanzioni.
La mediazione scolastica mira altresì alla creazione di un nuovo spazio per la gestione del conflitto, uno spazio intermedio che si articola nelle sue fondamenta sull’intento di ridefininire i rapporti tra gli attori della comunità educativa e tra gli stessi e se stessi. Ha inoltre l’obiettivo di favorire una maggiore implicazione delle parti coinvolte nella regolazione dei conflitti e di sostenere il loro accordo a partire da una comprensione reciproca dei loro bisogni e dei loro interessi.

Descrizione del protocollo di ricerca/intervento



Metodologia
Gli alunni che partecipano al progetto svolgeranno inizialmente un questionario di misurazione dello stato d’ansia (S.T.A.T.) e dei livelli di rabbia sia di stato sia di tratto (S.T.A.X.I.).
Successivamente essi saranno suddivisi, in modo randomizzato, in due gruppi, pari per sesso, numero ed età media.
Il primo gruppo sarà di controllo e non sottoposto ad alcun trattamento, il secondo gruppo sarà protagonista in prima istanza di quella che abbiamo definita come Fase di sensibilizzazione e successivamente alla Fase della costruzione degli spazi mediatori.
A conclusione del protocollo saranno nuovamente misurati i livelli d’ansia e di rabbia attraverso una nuova somministrazione dei due questionari (S.T.A.T. e S.T.A.X.I.) sia al gruppo di controllo, sia a quello soggetto al trattamento.
L’ipotesi di ricerca che il nostro protocollo persegue suggerisce che la possibilità di riconoscere, esprimere ed imparare a gestire, con l’ausilio della logica e delle tematiche mediative, l’emozione della rabbia, possa ridurre i livelli d’ansia e di aggressività e contemporaneamente implementare la dimensione relazionale cooperativa, in modo statisticamente significativo rispetto al gruppo di controllo.
Fase di sensibilizzazione
La fase più delicata del progetto “azione-ricerca” è rappresentata dalla sensibilizzazione degli allievi alla partecipazione non accondiscendente o passiva a tale progetto.
Questa fase mira a favorire l’emergere di una cultura comune e alternativa del conflitto in un numero quanto più esteso possibile di allievi, insegnanti e manager scolastici. Tutto ciò, a nostro avviso, richiede tempo, un lungo apprendistato che sarebbe auspicabile partisse dalle scuole elementari per poi proseguire lungo tutto l’iter scolastico.
A tal fine il nostro progetto tende ad articolarsi su di una sorta di protocollo a cascata che viene applicato, in sede di ricerca, a partire dalla seconda media per essere completato in terza, al fine di fornire tali competenze agli allievi nell’ingresso al liceo e perché consideriamo tale fascia d’età (11,12,13 anni) quella più fertile per la trasmissione di tali competenze.
Pur orientando la nostra azione-intervento entro le griglie rigide di un protocollo di ricerca, la complessità pluridisciplinare dei fenomeni trattati ci ha portato, particolarmente nella fase di sensibilizzazione, a calibrare il nostro intervento sulle peculiari risposte dei gruppi in cui si è andati ad intervenire. In tal senso, non ci sembra superfluo sottolineare l’impossibilità di applicazione di modelli rigidi d’intervento di mediazione scolastica che non tengano conto delle diverse fasi evolutive attraversate dagli attori coinvolti in essi.
Il nostro protocollo prevede come stimolo iniziale atto ad avviare una sensibilizzazione a tappeto verso una cultura alternativa del conflitto, la proiezione di un video sulla vita di alcuni primati, particolarmente orientato su sequenze di comportamenti sia agonistico-antagonistico, sia cooperativi, sia accuditivi. La scelta di tale stimolo concernente il mondo animale ha lo scopo di cominciare ad introdurre una lettura del conflitto nei suoi vari risvolti naturali ed etologici, nel suo significato di dimensione relazionale che attiene all’evoluzione, al cambiamento, alla difesa, alla crescita, alla conoscenza di sé e dell’altro.
Tale stimolo video è stato somministrato sia ai gruppi classe, sia ai gruppi di insegnanti coinvolti nel progetto dopo una breve introduzione sugli obiettivi del progetto stesso e soprattutto una costante e preminente attenzione da parte degli operatori-ricercatori alla creazione di un clima e di una atmosfera gruppale distesa, rilassata, di un contesto di relazione teso all’incontro, al dialogo e privo di qualsiasi valenza giudicante o passivizzante.
Alla proiezione di tale video segue in ogni gruppo una discussione sugli stati emotivi, sui commenti e i quesiti, sulle emozioni che via via emergono durante la visione; in una sorta di brainstorming, tali emozioni vengono segnate alla lavagna fino ad esaurimento e facendo attenzione a che tutti possano esprimersi almeno una volta
Uno stile cooperativo segna da subito l’andamento del processo e talune tecniche di base della mediazione sono utilizzate fin dall’inizio dagli operatori nella conduzione del gruppo: invito a formulare le comunicazioni in prima persona, il rispecchiamento, il porre domande semplici che aiutino l’altro ad esprimere meglio il proprio punto di vista. Un costante rinforzo positivo stimola e sostiene la dimensione di ascolto attivo, di interesse e di rispetto per i punti di vista degli altri.
In seguito, i ragazzi stessi compileranno una graduatoria complessiva delle emozioni emerse, sulla quale tutti dovranno concordare e a seconda del numero dei componenti del gruppo, si andranno costituendo piccoli sottogruppi di lavoro, organizzati su indicazione degli operatori; tali sottogruppi lavoreranno congiuntamente alla produzione di una definizione concordata dell’emozione loro assegnata.
Appare evidente, come del tutto implicitamente, vengano prodotte condizioni gruppali ingeneratrici di conflitto sia per la difficoltà insita nella formulazione concorde di una definizione, sia per le regole che orientano la designazione dei componenti dei sottogruppi. Tali regole nascono dall’attenta osservazione del funzionamento gruppale nelle fasi precedenti: leadership, simmetrie, coalizioni, complicità, aggressioni, posizioni marginali, difficoltà ad esprimersi, scelta del posto, postura ed in genere ogni comunicazione analogica saranno attentamente analizzate e vagliate.
Scoraggiare l’autocandidatura alla partecipazione a quello o all’altro gruppo, scoraggiare cioè configurazioni relazionali gruppali già collaudate, ingenererà naturalmente dimensioni conflittuali perché gli attori coinvolti saranno costretti a rinegoziare funzioni e ruoli nel sottogruppo.
Tali procedure che concernono la composizione dei sottogruppi saranno trasmesse agli attori coinvolti come nuove opportunità di apprendimento, di conoscenza e d’incontro con gli altri; verrà sostenuto il lavoro autonomo del sottogruppo e la possibilità di chiedere aiuto ad un operatore sarà accessibile solo se tutti nel sottogruppo stesso saranno d’accordo.
Verrà inoltre precisato che non esiste una definizione di per sé giusta, ma sarà considerata giusta solo quella che nasce dall’accordo e dalla negoziazione tra le parti coinvolte.
Risulta abbastanza evidente come vengano fin dall’inizio, trasmesse attraverso lo stile di lavoro degli operatori, regole e configurazioni di processi decisionali in linea nelle procedure e negli obiettivi con i protocolli mediativi.
Il nostro progetto si caratterizza nel ridurre al minimo la trasmissione di contenuti teorici, nel valorizzare al massimo l’apprendimento e la conoscenza dei contenuti alternativi proposti e il riconoscimento delle emozioni suscitate connesse al conflitto, attraverso la dimensione esperenziale a cui eventualmente potrà seguire una “narrazione” congiunta del percorso e una riformulazione congiunta dei punti essenziali trattati: per dirla in altri termini, la costruzione dell’asse teorico e conoscitivo sottostante risulterà come prodotto finale dell’intero gruppo di lavoro, operatori inclusi.
Durante lo svolgersi dell’attività dei sottogruppi verrà osservata l’”emersione” di figure con naturali abilità mediative, capaci cioè di creare spazi mediatori e di essere riconosciute dal gruppo come sufficientemente autorevoli per svolgere tale funzione. Tali soggetti potranno essere utilizzati, nelle fasi più avanzate del progetto stesso, come mediatori pionieri proprio nel gruppo classe o in altri.
Nella mediazione scolastica che si inscrive come processo nell’area più vasta della mediazione comunitaria, la selezione della figura del mediatore dovrà emergere dal gruppo stesso degli attori coinvolti perché tali contesti si caratterizzano, a differenza ad esempio di quelli inerenti la mediazione di divorzio, per la “coabitazione” sociale condivisa successiva al conflitto degli attori coinvolti, con la conseguenza, in tali contesti, di considerare più “autorevoli” e attendibili figure di mediatore provenienti dallo stesso sistema rispetto a figure completamente estranee ad esso.
Tali differenze assumono peso ancora più rilevante nella mediazione scolastica, che a nostro parere si esplica nella sua forma più significativa in termini di risultato nella “peer mediation”.
Nella “peer mediation” il mediatore è un “pari”, meno esposto alle dinamiche di potere che caratterizzano il sistema scuole e le sue gerarchie, riconosciuto dai compagni come più competente perché coetaneo e meno soggetto a posizioni pregiudiziali.
Per concludere con la descrizione dei momenti salienti della fase preliminare, vale la pena di citare il risultato finale a cui dovranno pervenire tutti i sottogruppi: oltre alla suddescritta definizione comune dell’emozione assegnata che inoltre verrà assunta come nome distintivo del sottogruppo stesso in tutto il percorso, i suoi membri dovranno impegnarsi anche in una “scultura” che rappresenti la stessa emozione, scolpita da uno scultore scelto dai compagni che andrà a comporre tale scultura seguendo, ancora una volta, le indicazioni di tutti e avrà il compito di mediare tra le varie proposte.
Gli esercizi così brevemente descritti mirano a sviluppare e a sostenere una forte tensione emotiva e comunicativa che viene costantemente punteggiata da commenti che agiscono come rinforzi positivi del lavoro e dei risultati prodotti in “regime cooperativo”; contemporaneamente vengono convertite in lavoro messo al servizio del gruppo, tutte le intuizioni e le proposte di soluzione che produrranno i singoli attori.
Fase della costruzione di spazi mediatori
Anche questa fase del nostro protocollo privilegia l’esperienza diretta degli attori della comunità educativa alla trasmissione teorica di nozioni e costrutti sul conflitto e l’aggressività.
Pur tuttavia, nelle classi che già hanno espletato quella che abbiamo denominato fase di sensibilizzazione, si procederà ad avviare e sostenere spazi dialogici paritetici centrati sul confronto delle rappresentazioni personali di conflitto e sulle forme auspicate di risoluzione dello stesso.
All’interno di tale spazio dialogico saranno trasmesse e sostenute letture del conflitto che ne evidenzino la valenza naturale positiva ed evolutiva, sgombrando il campo conoscitivo precostituito che altresì vede il conflitto come espressione preminente di dinamiche negative ed involutive.
Verranno inoltre sostenute e descritte a partire dagli stessi esempi di conflitto proposti dagli allievi, proposte di soluzione di tipo “win-win” che superino le logiche dei giochi relazionali a “somma zero” in cui alla vincita corrisponde la perdita, la sconfitta dell’altro.
Sostenere soluzioni di tipo “win-win” significherà introdurre alla necessità e alla utilità di conoscere i bisogni e i punti di vista dell’altro, attraverso l’apprendimento delle capacità empatiche e di ascolto attivo.
Il conflitto riacquisterà così le sue qualità polisemiche ingeneratrici di molteplici effetti positivi a cascata: sviluppo delle capacità di problem-solving, aumento dell’autostima, riconoscimento e gestione delle emozioni connesse al registro della rabbia, sviluppo di attitudine cooperativa, senso di responsabilità, sviluppo delle capacità assertive.
Tale “spazio dialogico paritetico” contribuirà, inoltre, alla diffusione di una rappresentazione condivisa del gruppo classe riletta in termini di risorsa nella risoluzione dei problemi; naturalmente gli effetti a cascata di tale rappresentazione condivisa andranno ad implementare la capacità di instaurare rapporti interpersonali positivi operando la separazione tra “problema e persona” necessaria a dar valore e dignità agli altri attraverso un’attitudine all’ascolto attivo e al rispetto e alla convivenza.
Sui piani più operativi, a partire da esempi di conflitto proposti dai ragazzi stessi, saranno strutturate diverse sessioni di lavoro di gruppo attraverso l’osservazione di simulate di dinamiche conflittuali.
Il gruppo stesso proporrà il mediatore scelto tra i pari che potrà avvantaggiarsi nel processo della collaborazione di una mini èquipe ausiliaria composta dai compagni.
Gli operatori fungeranno da supervisori e via via sosterranno i movimenti autonomi in termini di proposte e di problem solving che nascono dalla classe.
Al termine di ogni sessione di simulata, una dimensione dialogica paritetica allargata servirà allo scopo di restituire qualità condivise da tutti nel piccolo sottogruppo.
Il lavoro di simulata sarà preceduto da un breve excursus sulle regole di base che organizzeranno il processo di mediazione e la funzione del mediatore stesso.
Particolare attenzione sarà quindi attribuita alla descrizione dei principali metodi di moderazione del colloquio tra i “confligenti”, delle regole che organizzano il processo e la sua applicabilità solo in regime di libera scelta.


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