venerdì 6 aprile 2007

IL CASO DI A. E B. UNA MEDIAZIONE NELLA MEDIAZIONE UNA MEDIAZIONE “DI GENERE”

Alessandra Risso

Socio Ordinario A.I.M.S., Genova alessandra.risso@tin.it


Vorrei utilizzare questo spazio gentilmente assegnatomi per delineare alcune tappe di un percorso di mediazione familiare avviatosi nel 1999 i cui attori erano la sottoscritta, ancora allieva in formazione, una mediatrice familiare ed una coppia di genitori algerini di religione musulmana, sposatisi nel 1989 in Algeria, migrati in Italia nel 1991, separati ufficialmente dal 1997 su iniziativa della moglie, supportata dalla rete sociale locale, a seguito dei continui maltrattamenti e violenze subiti dal marito.
Vorrei inoltre brevemente soffermarmi sulla scelta di presentare un’esperienza iniziata ormai 2 anni e mezzo e conclusasi nel giro di 5 incontri. Se da un lato il riferirsi ad un passato non remoto ma prossimo può limitare il ricordo del dettaglio e l’immediatezza delle emozioni provate durante il processo, dall’altro ha rappresentato un’importante occasione per far sedimentare alcune istanze emotive che indubbiamente hanno animato l’esperienza, permettendo di ripercorrere con distanza ma chiarezza i nodi conflittuali attraverso una ricostruzione del percorso a posteriori.


L’esperienza di qui vi parlerò si è rivelata fortemente complessa ed impegnativa, tanto da configurarsi fin dall’inizio come una “mediazione nella mediazione”. Nel corso di tutte le fasi del processo è stato infatti necessario ricorrere costantemente alla decodifica e comprensione di linguaggi, comportamenti, valori, significati fortemente differenziati tra loro, dedicando ampio spazio alla definizione, ridefinizione e negoziazione di regole e contesto tra tutti i soggetti coinvolti nel sistema mediazioni, quindi tra le due mediatrici, tra queste e la coppia, tra i due ex coniugi stessi.
Per tale ragione riterrei opportuno raccontare l’esperienza attraverso alcuni elementi metodologici di contesto e di processo, strettamente correlati tra loro, rivelatisi potenziali fattori di rischio ma anche fattori propulsivi al cambiamento ed alla ricerca a soluzioni nuove o rinnovate.
Tra i dati di contesto si sono rivelati di particolare interesse:



  1. La presenza di due mediatrici, l’una con funzione di osservatrice partecipante e garante del processo, l’altra come referente per la coppia, maggiormente incentrata sui contenuti, accanto alla figura dell’ex moglie, che ha delineato un sistema relazionale a prevalenza femminile, sperimentando un modello di mediazione di “genere”
  2. Il peso ed i significato attribuiti alla mediazione dagli immigrati di cultura islamica: per chi migra il processo di mediazione viene già attivato al momento della decisione di lasciare il proprio paese di origine, e continua con l’arrivo in Italia. Nel caso dell’Islam, occorre evidenziare come la disponibilità al confronto con la cultura ospitante sia spesso delegata a figure di leaders riconosciuti dalla comunità di appartenenza, ma anche alle figure femminili che, avendo maggior facilità di entrare nei tradizionali circuiti di socializzazione, assumono sia il compito di tutela e controllo dell’identità islamica nella sfera educativa, sociale, morale, che quello di comunicazione e mediazione con l’alterità, attraverso il rispetto dei divieti e la difesa delle regole (interessante a tale proposito risulta la funzione attribuita al velo)
  3. La storia dei due ex coniugi è la storia di un conflitto antico, radicato nelle singole storie individuali e generazionali, ancora prima che di coppia (per lei, le ricorrenti violenze subite come figlia, come moglie, come nuora, la costrizione nella scelta tra lavoro e matrimonio, per lui il tradimento delle aspettative della famiglia di origine nella scelta di un matrimonio non condiviso, la rinuncia alla propria patria e la condizione di rifugiato politico)


Ma è anche la storia della difficoltà o addirittura dell’impossibilità a riconoscere e ad agire il conflitto, perché fortemente legato alla scelta tra tradizione e modernità, tra controllo e libertà, due dimensioni spesso per loro non accostabili ed inconciliabili. E’ quindi la storia della difficoltà od impossibilità a mediare il conflitto tra due stili di vita profondamente diversi, quello moderno dell’Occidente, quello antico della cultura islamica tradizionale, dove spesso il solo desiderarne uno implica il rifiuto a priori dell’altro, e qualora una posizione venga assunta, è comunque motivo di emarginazione dal sistema da cui ci si vuol differenziare.Tutto questo perché differenziarsi è spesso associato a tradire, ed è quindi inaccettabile; l’alternativa è quindi quella della presa di distanza e del distacco, spesso anche geografico, attraverso la migrazione.


Numerosi sono i dati di processo strettamente connessi con il contesto:


  1. Dopo essere inizialmente entrati in contatto con il sistema locale di tutela del minore (alludo all’Autorità Giudiziaria che si è fatta carico di tutelare i diritti delle figlie minori al momento della separazione dei genitori), i due ex coniugi hanno attivato il processo di mediazione su suggerimento degli operatori del servizio territoriale con cui erano in contatto. Ciò ha evidenziato la necessità di distinguere il contesto dell’aiuto istituzionale (il servizio pubblico), dal controllo (l’Autorità Giudiziaria), dall’”autoaiuto” (se così lo posso impropriamente definire) della mediazione, inteso come creazione di una condizione di maggior benessere. Di fondamentale importanza si è rivelato sia il rapporto di fiducia instauratosi tra la coppia e gli invianti sia la centratura della mediazione sul tema dell’assunzione delle decisioni per le figlie, il solo riconoscibile come bisogno e condivisibile da entrambi
  2. La stretta connessione, soprattutto nella fase di raccolta dei dati e di individuazione dei nodi conflittuali, tra la dimensione emotiva, morale, della memoria a livello individuale e collettivo, ponendo particolare attenzione alla dialettica costante tra amore e potere sia in termini temporali (rapporto tra passato e presente) che spaziali (continuità e rottura tra realtà di provenienza e di arrivo)
  3. L’articolazione delle fasi all’interno del processo non è stata rigidamente osservata: largo spazio è stato dato, come ho detto in precedenza, alla definizione e ridefinizione dei ruoli dei soggetti coinvolti, del contesto e degli obiettivi a della mediazione, permettendo così di costruire un contesto di fiducia, accogliente e neutrale, dove poter attivare un lavoro sui conflitti.
  4. Durante tutto il percorso particolare attenzione è stata posta dalla coppia ai sistemi valoriali ed emotivi coinvolti nella storia della loro separazione. Descritta attraverso i contrasti tra amore e potere, illusione e delusione, fiducia e tradimento, la loro storia è stata ripercorsa attraverso sentimenti ancora coesistenti fra loro in eguale intensità, forse troppo vivi per essere esaminati con lucidità, esprimendo poi un forte senso di sospensione, discontinuità, perdita, solitudine, delegittimazione che non sempre è possibile affrontare con quello che Cigoli definisce “spazio- tempo di passaggio” che è la mediazione.
  5. Il processo di mediazione si è interrotto al momento dell’esplorazione delle opzioni alternative. Il forte legame con i sentimenti del passato, la prevalenza di alcune istanze emotive su altre, il significato della migrazione come perdita di identità per l’uno, acquisizione o scoperta di un’identità nuova per l’altra, sono risultati condizionare ancora fortemente il presente dei due ex coniugi, ognuno in modo diverso, impedendo loro di porsi in una logica futura di condivisione di una dimensione “nuova” della coppia, quella della “sola” genitorialità.
  6. Nonostante l’interruzione, il percorso di mediazione ha comunque innescato un processo di cambiamento per la coppia, che ha portato nel tempo all’assunzione di responsabilità e di decisioni sia sul versante personale (inserimento sociale attraverso il lavoro per lui, perfezionamento della pratica di separazione con l’acquisizione della necessaria documentazione per lei) che familiare (maggior chiarezza nell’organizzazione del tempo dedicato alle figlie).


A conclusione di questa analisi, riterrei opportuno ribadire la completezza del modello di mediazione familiare di tipo sistemico-relazionale che, applicabile alla mediazione di conflitti presenti in contesti differenziati, risulta particolarmente adeguato a fronteggiare processi complessi e multidimensionali quali la mediazione familiare interculturale.
A tale proposito è emersa la necessità di superare, nel processo di mediazione interculturale, il concetto di mediazione specialistica od esperta, dotandosi di strumenti di processo, di comunicazione e relazione, oltre che di competenze e strategie. Essi infatti dovrebbero risultare pienamente calati nel sistema di provenienza dei protagonisti del processo di mediazione, tali da considerare le diverse dimensioni, i diversi modelli culturali e le diverse culture della mediazione che, in alcune realtà, rappresentano delle vere e proprie strategie di sopravvivenza individuale e familiare.